Il duro mestiere del giornalista

L'articolo di Gianfranco Murtas, biografo di Crivelli

L’articolo di Gianfranco Murtas nella pagina dell’Unione Sarda dedicata al centenario della nascita del grande direttore Fabio Maria Crivelli. Murtas è il maggiore biografo e studioso del giornalista “istriano-romano-sardo” che ha guidato il quotidiano cagliaritano per 23 anni.

Per approfondimenti rimandiamo ai post di Murtas già presenti in questo sito e direttamente al sito Giornalia (il linkdella testata online). A seguire i link di altri saggi di Murtas su Crivelli.

 

Negli 8.401 giorni continuativi della sua direzione de L’Unione Sarda fra il 1954 ed il 1976, Fabio Maria Crivelli associò, per il più, le sue più specifiche mansioni professionali a quelle dell’editorialista. E fu editorialista politico, interprete delle vicende parlamentari e governative nazionali e regionali, scrupoloso e sempre “sul pezzo”. Ma non di meno… controvoglia. La sua maggiore propensione era alla lettura della società che non della politica, perfino con un approccio tante volte più intimo, più personale, ai casi che la cronaca lontana o quella più prossima riportava nelle asciutte pagine redazionali.

Lunghe licenze

Per questo di tanto in tanto si prese lunghe licenze dallo spazio classico del fondo e, rifugiandosi all’interno della crescente foliazione, si concesse, nel 1957-58 e nel 1964, al dialogo diretto con i lettori e sui temi più disparati sui quali essi chiedevano attenzione (compresa la maternità extramatrimoniale di Mina! naturalmente per difenderla); così come, con le rubriche “I fatti del giorno” e “I fatti della settimana”, presentò liberi e meditati commenti non soltanto alle attività di partiti od istituzioni, ma anche alle varie vicissitudini di cristiani qualsiasi reclamanti, per giustizia, il ristoro almeno della comprensione. Talvolta, come capitò nella primavera del 1960, prese lo spunto addirittura da una querela per mostrare comprensione, oltre ogni aspetto giuridico, a chi si mostrava danneggiato o sofferente, in quel caso una povera maestrina. Così l’incipit: «La vita del giornalista è fatta di continue, quotidiane, sempre nuove esperienze. La realtà gli offre ogni giorno, attraverso il vaglio continuo e il contatto incessante con le notizie e i fatti, materia perenne di commento, di riflessione, di discussione. Ma tutto avviene con un ritmo troppo rapido, senza pause. La vita degli uomini e delle cose è una realtà eternamente cangiante in cui egli afferra appena brandelli sfuggenti e che cerca invano… di fissare almeno per un attimo in una frase o in un articolo. Nella corsa contro il tempo il giornalista è sempre battuto; l’anima di ognuno di noi è come costellata di cicatrici: sono il rimpianto delle mille occasioni appena avvertite e che avrebbero offerto materia di esame e di commento e che invece il susseguirsi degli avvenimenti ha dissolto come il calare di una tenda distrugge il riverbero di sole che s’infiltrava dalla finestra».

Toccante ricordo

Del mestiere di giornalista scrisse in un toccante ricordo di sé ventiquattrenne all’esordio di cronista, dopo tanto martirio patito nei dodici campi di prigionia nazisti fra Polonia e Germania, nell’ottobre 1945: ricordo di sé e del suo maestro Leonida Rèpaci, direttore de L’Epoca – il giornale che lo aveva accolto allora e che già doveva interrompere le pubblicazioni: «scorrevano lacrime che si mescolavano all’inchiostro, e che egli non si curava di nascondere. Fu anche, quella, la sua ultima lezione: mi fece capire come il giornalismo oltre che di fatica, di sogni, di brevi soddisfazioni, sia fatto anche di questo: di una passione che senza vergogna arriva al pianto». 

La cifra morale

Il direttore che, con l’edizione quotidiana de L’Unione, ha accompagnato tanti di noi negli anni della formazione e della prima maturità professionale era questo: indipendente per statuto morale e capace di resistere – pur senza eroismi, confidò lui stesso marcando la derubricazione del merito – alle pressioni della proprietà petrolchimica del giornale nel 1976. Era la stessa persona che alla vigilia del suo trasferimento in Sardegna aveva pubblicato una commedia – Questi nostri figli , portata al “Massimo” nell’autunno di quel centrale 1960 – in cui entrava nel vissuto dei protagonisti rivelandone contraddizioni e fragilità e potenziali e speranze. Nel giornalismo come nel teatro, nel teatro come nel giornalismo, con quello stesso sforzo di adesione alla umanità degli attori sulla scena, fosse la scena di Montecitorio o della Rumianca, la scena d’una scuola o d’una famiglia. O quella di Sanremo all’indomani del suicidio di Luigi Tenco: «Quando Mike Bongiorno con rapida disinvoltura ha detto due parole sul “triste evento capitato ad un collega” abbiamo chiuso il televisore. Anche per un robot dovrebbero esistere dei limiti».

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Chi è Gianfranco Murtas

Cagliaritano, storico e saggista. Ha pubblicato un’ottantina di saggi sui cruciali passaggi della vicenda sociale e politica regionale (post Risorgimento, giolittismo, massoneria, antifascismo, democrazia repubblicana ed autonomistica), numerosi studi sulla Chiesa sarda, sui suoi maggiori esponenti e sulle attività di soccorso e promozione umana sostenute dalle istituzioni ecclesiali: fra essi Papa Roncalli e la Sardegna, Una voce nel Chorus, Da Chorus a Cresia, Il Vangelo, la Chiesa e la Sardegna: un’esperienza di vita (conversazione con monsignor Pier Giuliano Tiddia). Scrive assiduamente sul sito Giornalia, collaboratore de L’Unione Sarda e di altre testate locali e regionali.

Ecco i link di altri due appassionati e documentati saggi di Murtas su Crivelli pubblicati sul sito Giornalia:

Un articolo di Crivelli del 1958 (vai al link: Il mestiere del cronista).

 

Murtas racconta Crivelli in un “incontro letterario” tra cronaca e ricordi, per parlare di Cagliari e di giornalismo (vai al link: Affabulazioni  ).

 

 

 

 

Fonti:

L’Unione Sarda, 11.01.2020

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