Il Lunedì dell’Unione

Il supplemento, voce critica del fascismo

L’Unione Sarda ha concluso i festeggiamenti per i 130 anni di vita con numerose iniziative sviluppate nell’arco dell’ultimo biennio e terminate con la grande festa del 13 ottobre 2019 (di cui parliamo ampiamente in questo sito). Occasione per ricordare una storia ultra centenaria di una gloriosa testata che ha superato due guerre mondiali e ogni genere di crisi. Tra i tanti ricordi celebrati, tuttavia, è passata sotto silenzio la vicenda di un supplemento del quotidiano cagliaritano, di cui rimangono alcune raccolte nelle biblioteche cittadine e appena una vaga memoria tra gli studiosi della materia. I giornalisti oggi più anziani non erano nati oppure erano appena bambini. Come Gianni Filippini, ex direttore e direttore editoriale dell’Unione, il cui padre Luigi iniziò la carriera giornalistica in quegli anni nel quotidiano cagliaritano e sarà uno dei più attivi nella realizzazione del supplemento del lunedì, svolgendo incarichi di redattore di cronaca e dello sport.

Parliamo dei tre anni di vita de Il Lunedì dell’Unione, tra fine dicembre del 1928 il primo numero e fine maggio del 1932, l’ultima uscita), supplemento settimanale del quotidiano cagliaritano che ebbe un ruolo politico molto interessante e, per certi versi, antagonista rispetto al giornale-madre. La storia di questo supplemento apre una finestra sul dibattito politico e culturale dell’epoca, un momento cruciale del regime che andava consolidandosi in Italia e anche in Sardegna dove era in pieno corso il confronto tra fascisti e sardo-fascisti. Il confronto si sviluppò ed ebbe spazio sui due giornali, L’Unione Sarda organo ufficiale del partito, e il supplemento che si era fatto portavoce di posizioni e voci critiche, per non dire dissidenti. 

Sui giornali si esposero con toni spesso accesi i protagonisti di allora, gerarchi e dirigenti fascisti, giornalisti e intellettuali. Alla fine si arrivò inevitabilmente alla chiusura, dopo l’emanazione di rigide norme sulla stampa e sull’organizzazione dei sindacati che misero a tacere ogni dissenso. La storia del supplemento del lunedì non è dunque solo la storia di un settimanale, ma di un periodo decisivo per l’Isola e in cui emersero personaggi di spicco da una parte e dall’altra. Per questo quella testata ormai dimenticata merita di essere riscoperta, studiata e raccontata.

La testata e la pagina dell’ultimo numero

Lo scenario storico

Tra il 1926 e il 1943 il partito fascista potè disporre di un proprio organo di stampa quotidiano a Cagliari, L’Unione Sarda, di un altro a Sassari: L’Isola e dal 1943 di un mensile pubblicato a Nuoro: Nuoro Littoria. Vennero tollerati i periodici di orientamento cattolico: nel 1926 iniziò le sue pubblicazioni L’Ortobene, il mensile della diocesi di Nuoro, divenuto dal 1933 quindicinale dell’Azione Cattolica. Nel 1928 a Cagliari comparve il settimanale La Sardegna cattolica che durò sino al 1942, organo dell’Azione cattolica della provincia; a Sassari proseguì le pubblicazioni il settimanale cattolico Libertà.  

A queste testate di maggior rilievo si aggiunse una notevole quantità di numeri unici, goliardici, giovanili; gli organi di stampa delle associazioni agricole, industriali e commerciali; quelli delle organizzazioni di massa e di categoria del regime, come la Gioventù italiana del Littorio, i Gruppi universitari fascisti (Guf), la Milizia volontaria per la siurezza nazionale. Le riviste di cultura – Il Nuraghe (1923-1932), Mediterranea (1927-1937), Mediterraneo futurista (1937-45), Sud Est (1934-42), La Sardegna scolastica (1923-47) e Intervento (1940-43) completano il quadro delle pubblicazioni periodiche durante il ventennio.

L’informazione a partire dal 1926 è affidata ai giornali quotidiani e settimanali – diretta espressione delle federazioni provinciali del Pnf, bollettini del regime con funzioni di filtro della cronaca di provincia, in grado di raggiungere un pubblico piuttosto vasto di lettori cui indicare modelli di comportamento collettivi – ma anche alle riviste nelle quali confluì il dibattito culturale che nell’età liberale si ritrovava ampiamente nella stampa quotidiana, fatto salvo il periodo della guerra. 

L’Unione Sarda del 1924

La nuova disciplina giuridica dell’informazione e l’assenza di occasioni di grande richiamo politico quali le consultazioni elettorali, determinarono una brusca caduta dell’iniziativa giornalistica, che infatti registrò solo un consolidamento di alcune testate già esistenti, opportunamente fascistizzate, e la pubblicazione di riviste di cultura.  

Subito dopo la nomina di Mussolini al governo (il 31 ottobre 1922) in tutta Italia cominciarono a proliferare i fogli fascisti. Nel 1923 il Gran Consiglio stabilì che in ogni provincia dovesse essere autorizzato un solo organo (settimanale o quotidiano) del partito. Le due province sarde si adeguarono rapidamente a queste direttive. Dal 1923 l’organo ufficiale del Pnf a Cagliari divenne Il Giornale di Sardegna, diretto da Umberto Giglielminotti; a Sassari invece questa qualificazione venne assunta nel 1924 dal quotidiano L’Isola. 

Nel 1925 su suggerimento di Ermanno Amicucci (personaggio di spicco del giornalismo fascista, fondatore della prima scuola di giornalismo, segretario del sindacato dei giornalisti e anche direttore di quotidiani nazionali)  si procedette ad una distinzione netta tra giornali fascisti ufficialmente riconosciuti dal partito e tutti gli altri. Nell’Isola pochi fogli riuscirono a conseguire questo privilegio. 

In questa fase la situazione si chiarì sin dal 1926 da quando L’Unione Sarda ebbe come direttore Paolo Pili, segretario federale del Pnf, fascista e leader di punta del sardo-fascismo che fu l’artefice della fusione del vecchio quotidiano L’Unione Sarda con quella dell’organo ufficiale del partito fascista a Cagliari, Il Giornale di Sardegna. A Sassari L’Isola, diretta dal deputato fascista Antonello Caprino, anch’egli dirigente nazionale del Pnf, diventò l’organo ufficiale mentre La Nuova Sardegna veniva chiusa definitivamente (riaprirà nel 1946).

In questo contesto L’Unione Sarda diventa la voce del regime, grazie anche ai finanziamenti del governo. Il giornale quadruplicò la tiratura, rispetto al periodo precedente, raggiungendo 20 mila copie di stampa contro le  ottomila degli anni venti. 

Un’esperienza originale (1928-1931)

In questo contesto si inserisce Il lunedì dell’Unione, un caso giornalistico molto interessante e ancora da studiare a fondo. Lavoro nel passato iniziato da studiosi quali Fernando Pilia e il pittore Foiso Fois (interessato soprattutto al dibattito sull’arte sarda). Copie del giornale sono conservate nelle biblioteche Comunale e Universitaria di Cagliari e anche nell’Universitaria di Sassari. Sono disponibili le collezioni cartacee degli anni 1928, 1929 e parziale 1930, mentre del 1931 esiste la raccolta completa e digitalizzata. A parte uno studio ancora incompleto di Gianfranco Murtas, non risultano tesi o lavori complessivi su questa straordinaria esperienza giornalistica. Basta scorrere i nomi dei collaboratori per ritrovare grandi firme del dopoguerra, artisti e letterati di fama, una classe intellettuale che si formò durante il regime con tutti i limiti di operare in un regime dittatoriale nel quale vigeva una ferrea censura e una disciplina di partito con cui, comunque, bisognava fare i conti per poter lavorare in tutti i campi.

Nasce il supplemento del Lunedì dell’Unione

Sin dall’inizio della direzione di Rafaele Conti – scrive Giuseppe Della Maria nel suo prezioso volume (op. cit., 1968) – e precisamente dal 24 dicembre 1928, L’Unione Sarda inizia la pubblicazione del suo secondo supplemento, Il Lunedì dell’Unione, diretto dall’avvocato Giuseppe Pazzaglia, periodico con programma giovanile anti tradizionalista vivace e scanzonato, ricco di cronache e spoglio di propaganda politica, copioso di caricature e di riproduzioni artistiche specie di xilografie.

   Pagina sportiva del supplemento

Il settimanale, in contraddizione col titolo, non è l’edizione del lunedì del quotidiano, camuffata da supplemento: si differenzia nettamente da L’Unione Sarda sia come informazione contenutistica che come formula impaginativa e ciò chiaramente appare dalla quattro pagine del primo numero.

Composto da 4 pagine di carta color verde-celestino, Il Lunedì dell’Unione accoglie scritti che spaziano dall’economia alla musica, dal folklore alla letteratura, dalle rubriche di moda ai resoconti sportivi, dalle cronache d’arte a quelle di mondanità. 

L’animatore – e forse promotore – di questo simpaticissimo settimanale fu il redattore de L’Unione Sarda, dott. Gino Anchisi – giornalista spregiudicato e anticonformista. Che si valse precipuamente della preziosa opera di altri due giovanissimi redattori del nostro stesso giornale: Vittorio Porcile (il sempre entusiasta “Armoir”) e Antonio Ballero Pes, dalla penna facile e pronta.

I collaboratori

Tra i collaboratori isolani si riscontrano i pubblicisti e gli studiosi più validi di quel periodo. Ricordiamo novelle, racconti, bozzetti di Filippo Addis, Battista Ardau Cannas, Antonio Ballero Pes, Cairo Bonifazi, Antioco Camboni, Gianni Campus Santinelli, Aleardo Cossu De Martis, Peppina Dore, Salvatore Floris Mormone, Sestilio Marcialis, Ubaldo Nieddu, Liugi Perria, Salvatore Ruju e Salvatore Zedda.

Riscontriamo versi di Francesco Alziator, Gianfrancesco Brandanu, Berto Cara, Luigi Falchi, Gavino Leo, Sestilio Marcialis, Mario Mossa De Murtas, Giuseppe Mulas, Mercede Mundula, Salvatore Ruju, Antonio Scano, Vincenzo Schivo, Vincenzo Soro, Stefano Susini, Caterina Tarasconi, Ranieri Ugo, Vera Zolo-Senes.

Rileviamo critiche di arti figurative estese da Gino Anchisi, Carlo Aru, Remo Branca, Raffaello Delogu, Filippo Figari, Pietro Antonio Manca, Antonio Mura, Cipriano Efisio Oppo, Giuseppe Pazzaglia, Salvatore Ruju, Edmondo Sanna, Stefano Sanna Sulis, Enzo Senzasono.

Temi di diritto sono trattati da Dario Nonnoi. Cronache musicali sono curate da Nino Fara; resoconti e commenti sportivi da Fabio Nieddu, Dario Nonnoi e Luigi Filippini il quale, chiuso il Lunedì nel maggio 1931, subito dopo – nel 1932 – diventò  direttore del settimanale “Sardegna sportiva”, che uscì sino al 1941 (le collezioni sono conservate nella Biblioteca Universitaria di Cagliari) con un taglio più popolare e appunto dedicato alle attività sportive e ludiche. Filippini, segretario e azionista della Società Editoriale Italiana, fu il protagonista di quella esperienza giornalistica. Arruolato nell’Esercito, morirà nell’Isola durante la guerra nel 1943.

Tornando ai collaboratori del “Lunedì”, vediamo che l’artigianato è oggetto di illustrazione da parte del grande architetto Ubaldo Badas; la critica letteraria è svolta da Luigi Bianco, Raffaele Marchi, Antonio Scano e Antioco Zucca; la poesia dialettale è presente con rilievi di Raffa Garzia, Antioco Casula e Luigi Falchi; le tradizioni popolari sono svolte da Carlo Aru, Filippo Figari, Giuseppe Pazzaglia, Salvatore Rattu, Antonio Taramelli; sono riprodotti disegni originali di Ubaldo Badas e xilografie di Giuseppe Biasi, Gaetano Ciuffo, Stanis Dessy (i numero notevole).

Tra le argomentazioni più interessanti e gli articoli di maggior rilievo – conclude la nota di Della Maria – si evidenzia la relazione sulla mostra d’arte allestita a Cagliari nell’aprile del 1929, corredata da molte fotografie di opere e dall’elenco degli espositori e degli elaborati; la proposta di Carlo Aru di costruire in Cagliari un museo del Costume; la critica di Raffaello Delogu sulla mostra d’arte ordinata in Cagliari nel 1930 e susseguente polemica e sulla seconda rassegna del sindacato sardo nel 1931. 

Il settimanale termina col foglio n. 21 dell’anno IV, 25 maggio 1931. 

Il redattore capo Gino Anchisi

«Gino Anchisi – racconta lo studioso Gianfranco Murtas – del Lunedì dell’Unione fu forse la vera anima, non saprei con quanta vera intesa con Pazzaglia, il direttore. Era giovane ed era stato fino al 1924, “gemello” di Cesare Pintus e Silvio Mastio, in quel gruppo sparuto di repubblicani 20-22enni, allora tutti studenti universitari d’animo antifascista; poi all’improvviso (come tanti altri di tante altre parrocchie ideologiche) abbandonò il campo e passò al fascismo: si era all’indomani dell’operazione Gandolfo e della migrazione dal Psd’A dei fasciomori». 

Nel 1924, in vista delle elezioni politiche (legge maggioritaria Acerbo), uscì a Cagliari (pro Lussu) un quotidiano per un mese e qualcosa, si chiamava “Sardegna” , direttori Raffaele Angius sardista e Silvio Mastio repubblicano (quando i sardisti avevano coscienza nazionale italiana e facevano riferimento alla scuola democratica di Mazzini e Cattaneo). 

«Fu in quel contesto – sottolinea Murtas – che emerse la polemica con Anchisi il “rosso”(di capelli) accusato di opportunismo; egli fu assunto all’Unione Sarda e lavorò al giornale per gran parte degli anni della dittatura; alla fine degli anni ’40, già in stagione democratica e repubblicana, L’Unione (doveva essere direttore il conte Spetia, forse, non mi pare ancora di Crivelli) pubblicò un suo editoriale su questioni di agricoltura e meccanizzazione, di cui era diventato esperto dalla fine degli anni ‘’30, lavorando in continente presso un importante ente pubblico del settore». 

L’Unione, così come la Nuova, accolse in gran pompa, allora, i giornalisti che pure si erano mostrati fascisti fino in fondo (si pensi a Vitale Cao, corrispondente da Roma e autore dei pastoni politici nazionali, che poi avrebbe sponsorizzato il genero per la direzione di due-tre anni, dell’Informatore, dopo Susini e dopo Sorcinelli). 

                          Mussolini a Cagliari

Il confronto artistico nei due giornali cittadini

Per capire il taglio originale del supplemento, rispetto al giornale-madre, è interessante riportare alcuni passi del dibattito artistico di quegli anni che si riflette soprattutto nelle pagine del Lunedì dell’Unione Sarda, vivace settimanale che, come detto, nato nel 1928 da una costola dell’Unione Sarda, si va facendo interprete delle istanze di modernizzazione dell’Isola. 

Un’ampia ricostruzione di quel dibattito emerge nel capitolo “I parenti poveri. Arte e Fascismo in Sardegna”, scritto dagli storici dell’arte Giuliana Altea e Marco Magnani (1945-2003), nel volume “La Sardegna nel regime fascista” a cura di Luisa Maria Plaisant, edito dalla Cuec nel 2000. Sono gli atti di un importante convegno svoltosi nel gennaio del 1998 a Cagliari, dal tema “Sardegna e Mezzogiorno nel ventennio fascista”, organizzato dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia. Nel convegno e nel volume si analizzano i vari aspetti storici dell’avvento e del consolidamento del regime nell’Isola e nei vari interventi emerge il ruolo dei giornali costretti a diventare voci ufficiali del fascismo. Con qualche eccezione, proprio come il settimanale Lunedì dell’Unione Sarda che nel corso della sua breve vita (poco più di tre anni) seppe ritagliarsi un ruolo spesso critico e alternativo all linea del quotidiano. Per un approfondimento del tema sul dibattito artistico nel suo complesso, dunque, rimandiamo alla lettura integrale del lavoro di Altea e di Magnani, mentre qui accenniamo sinteticamente al ruolo che ebbe il Lunedì.

Stracittadini e strapaese

A farsi interprete del sentimento di rinnovamento artistico – scrivono Altea e Magnani – è Giuseppe Biasi che, rientrato in Italia dopo un lungo soggiorno in Africa (di cui sono testimonianza i suoi dipinti più originali) ha sùbito sentito il polso della situazione; grazie al suo carisma ha momentaneamente ricomposto le eterne divisioni dell’ambiente sardo ed è riuscito a portare dalla sua i giovani redattori del Lunedì. Paradossalmente Biasi, nostalgico cantore dei costumi e delle feste della vecchia Sardegna, seduce subito gli “stracittadini” del Lunedì che diventano – a partire dal direttore Gino Anchisi – i più caldi sostenitori della Famiglia Artistica Sarda, un’associazione comprendente artisti, letterati, musicisti e giornalisti il cui fine più che evidente è quello di affiancarsi alla nascente organizzazione sindacale, sottraendole spazio e svuotandola di significato: il tutto, si noti, in un momento in cui in campo nazionale le vecchie associazioni artistiche indipendenti subivano pesantemente l’offensiva di un sindacato volto alla centralizzazione e alla gerarchizzazione di tutte le forze artistiche italiane.

Giornali, sindacati e fascismo

Il presupposto di questo dibattito si ritrova nel processo di sindacalizzazione degli artisti, già avviato da oltre un anno a livello nazionale e che nel 1929 era pressoché compiuto in tutta Italia. Ma non in Sardegna dove invece il sindacato non era stato ancora costituito e il confronto tra dirigenti fascisti e gli stessi artisti era in pieno sviluppo. I giornali, in particolare L’Unione Sarda già organo del partito, svolgono un ruolo importante in questo dibattito in cui si inserisce quel nuovo foglio del Lunedì, in cui i giornalisti riescono a far sentire voci discordi e critiche, staccandosi dall’ufficialità del quotidiano. 

I primi accenni al problema, per quanto riguarda la Sardegna, si ritrovano però sul Giornale d’Italia in un articolo del 12 novembre 1927 in cui si dice che la scuola d’arte di Oristano, futuro cenobio artistico sardo, dovrà diventare modello vivo del “Raduno”.

Il Raduno (con la R maiuscola) oltre ad essere il titolo dell’organo del Sindacato autori e scrittori, era l’Unione dei sindacati Autori e scrittori, Musicisti e Artisti, tenutasi poco prima in Romagna. A norma di legge l’organizzazione del Raduno avrebbe dovuto seguire nelle varie regioni la formazione dei sindacati e il suo responsabile sarebbe dovuto essere proposto dall’Ufficio provinciale dei Sindacato alla federazione Nazionale Intellettuali. Ma in Sardegna le cose non si svolgono così poiché nessuno dei sindacati artisti era stato ancora costituito.

Rara foto di Paolo Pili

Paolo Pili che nel 1925 aveva fondato la scuola d’Arte applicata di Oristano, ed oltre ad essere uno degli uomini di punta del sardo-fascismo in Sardegna era anche direttore dell’Unione Sarda, vorrebbe costituire il Raduno proprio nella città campidanese, in risposta alla recente nomina a responsabile del medesimo organo del ventiduenne Edgardo Sulis, giornalista collaboratore di diverse testate nazionali, fascista “iperbolico” che chiede a gran voce “catene per gli artisti” e predica “il più fiero” anti regionalismo. Come se non bastasse ha in mente di fare di Sassari la sede del Raduno.  

Non stupisce dunque che la sua nomina provochi una vera levata di scudi negli ambienti del sardo-fascismo cagliaritano, che aveva in Pili il massimo esponente. L’Unione Sarda sostiene la necessità di nominare un capo carismatico, un grande artista, animatore, suscitatore.

Tutto il chiasso sollevato dal Raduno è un spia di una crescente agitazione dell’ambiente intellettuale sardo, che ha un motivo ben preciso: inserirsi nel processo di sindacalizzazione in atto in cui si confronta da una parte la realtà culturale isolana e dall’altra il contesto nazionale. Artisti e intellettuali sardi – sottolineano Altea e Magnani – insorgono per salvaguardare la propria specificità regionale dagli effetti di una possibile cancellazione o quanto meno assimilazione.

Sull’Unione Sarda si accende il confronto 

Il confronto tra “strapaese” e “stracittà” e i nodi del regionalismo emergono nella polemica sul Raduno ospitata da L’Unione Sarda nel marzo del 1928. Il dibattito continuerà acceso per oltre un anno, tra il 1928 e il 1929, in cui si svolgono alcune importanti iniziative artistiche quali la Prima Biennale d’arte Sarda a Sassari e la Mostra della Primavera Sarda a Cagliari. Il dibattito nasce oltre che dal fermento ideale della stagione sardo-fascista, da un bisogno di serrare le fila di fronte al pericolo della burocratizzazione dell’inquadramento degli intellettuali nell’organizzazione del sindacato. 

In questo contesto si inquadra il successo del nuovo settimanale che, pur essendo in parte realizzato da alcuni redattori del giornale-madre, si ritaglia un proprio ruolo ospitando voci non in linea con l’ortodossia fascista del quotidiano e con sospetti anche di posizioni antifasciste. 

Voci di antifascismo corrono in effetti a proposito della Famiglia che tra i dirigenti aveva eletto gli artisti Biasi, Ciusa, Antonio Scano, Giannetto Bua e Filippo Figari, con segretario Gino Anchisi: appunto, il caporedattore del Lunedì. 

Più che di antifascismo, in realtà, si tratta al solito del tentativo di creare un’edizione sarda della politica fascista, una sorta di sardo-fascismo sindacale. Nella riunione del 2 giugno 1929, in cui venne istituita la Famiglia, erano presenti diversi personaggi dei gerarchi fascisti, quali il podestà Enrico Endrich e il vicesegretario dei sindacati Costa. In quei giorni L’Unione Sarda approva l’iniziativa evidenziando la questione di legittimità politica della rappresentazione di una Sardegna legata al passato. Tuttavia, in contrasto coi giovani del Lunedì, che dichiarano gli scopi della Famiglia paralleli e concomitanti a quelli dei Sindacati, L’Unione ricorda che la Famiglia potrà avere solo fini morali mentre quelli organizzativi spettano unicamente ai sindacati. 

Di fatto pochi giorni dopo la legge del 24 giugno affida al sindacato ogni prerogativa in materia di mostre ed esposizioni chiudendo il discorso aperto dalle associazioni autonome. Da quel momento vengono gettate le basi di un’organizzazione rigidamente centralizzata per le mostre regionali e provinciali dalle quali selezionare i rappresentanti per le Quadriennali di Roma e le Biennali di Venezia. 

Il dibattito si spegne, ma sul Lunedì sino a quando non cesserà le pubblicazioni continuano ad uscire articoli di taglio artistico, letterario e cultura che si staccano dall’ufficialità delle pagine dell’Unione Sarda. 

Uno studio più approfondito sul supplemento cagliaritano, che analizzi i vari temi toccati nella breve vita, di sicuro potrebbe illustrare nuovi filoni del confronto politico che si sviluppò in quell’arco di tempo. Non furono solo gli artisti a battersi sulle pagine dei giornali e nelle riunioni tra loro e di partito, ma anche letterati, critici, musicisti e intellettuali che caratterizzano la scena sarda di quei tempi. Molti nomi di quei giovani e di quegli uomini si affermeranno nel trentennio e poi troveranno spazio anche nel dopoguerra in un clima rinnovato del dopo regime nell’Italia repubblicana e nella Sardegna diventata Regione autonoma. In attesa, semmai qualche studente o studioso si avventurerà a fare una ricerca nelle vetuste collezioni conservate nelle biblioteche sarde, rimandiamo ai libri citati nel presente post. In particolare, per un inquadramento storico più dettagliato, all’importante studio della prof.ssa Laura Pisano del 1986, quando l’allora giovane ricercatrice dell’università di Cagliari pubblicò “Stampa e Società in Sardegna, dalla grande guerra  alla istituzione della Regione Autonoma”, ancora oggi testo fondamentale per la storia del giornalismo nell’Isola.

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Fonti 

Gianfranco Murtas, vedi post presenti in questo sito (il link su Murtas)

Laura Pisano, Stampa e Società in Sardegna, dalla grande guerra  alla istituzione della Regione Autonoma, Franco Angeli Editore; Milano 1986; pubblicazione  per il Centro Studi di Giornalismo “Gino Pestelli”, Torino, realizzata nell’ambito del trentesimo anniversario dell’autonomia regionale.( il link su Laura Pisano)

Giuliana Altea e Marco Magnani, nel volume “La Sardegna nel regime fascista” a cura di Luisa Maria Plaisant, edito dalla Cuec nel 2000. Sono gli atti di un importante convegno svoltosi nel gennaio del 1998 a Cagliari, dal tema “Sardegna e Mezzogiorno nel ventennio fascista”, organizzato dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia.

Giuseppe Della Maria, Storia e scritti de L’Unione Sarda, Fossataro editore,  Cagliari 1968. (Il link sulla bibliografia generale )

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