La corsa rosa e la Sardegna

Il racconto di Carlo Alberto Melis
Carlo Alberto Melis

Nella tesi di laurea “Una storia lunga più di un secolo: il Giro d’Italia raccontato dalle grandi firme del giornalismo italiano” che il blogger cagliaritano Mattia Lasio ha dedicato al ciclismo, non poteva mancare un capitolo riguardante la Sardegna. L’autore ha scelto la tecnica dell’intervista per focalizzare il discorso regionale puntando su un giornalista specializzato quale Carlo Alberto Melis, dell’Unione Sarda, lui stesso sportivo praticante che da molti anni segue tutti gli eventi nell’Isola e il giro d’Italia, amico personale del campione di Villacidro Fabio Aru. Ecco il capitolo della tesi con l’intervista, in cui Melis ripercorre la storia del giro d’Italia tutte le volte che ha fatto tappa nell’Isola. Una storia tormentata, come si vedrà, ricca di aneddoti e personaggi. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al post precedente con il Pdf della tesi.

Mattia Lasio intervista Melis

Mattia Lasio

Nel corso della mia ricerca, nel dicembre 2019, ho incontrato Carlo Alberto Melis, giornalista professionista dell’Unione Sarda e uno dei principali esperti e appassionati di ciclismo nell’isola, con cui ho avuto l’opportunità di confrontare la corsa rosa alla Grande Boucle – una delle tre storiche manifestazioni a tappe ciclistiche insieme al Giro d’Italia e alla Vuelta de España – e con il quale ho parlato della valenza etica e sociale della bicicletta ai giorni nostri, oltre che del rapporto tra la corsa rosa e la Sardegna: «Il passaggio della corsa rosa in Sardegna – esordisce Carlo Alberto Melis – pur essendo un grande e bellissimo spettacolo ha sempre portato anche qualche smacco e qualche ombra, dal punto di vista organizzativo e mediatico, sin dalla prima volta in cui giunse nel 1961 nell’isola».

Una sola tappa nel 1961

Melis in auto con Davide Cassani. Cassani è un dirigente sportivo, ex ciclista su strada e commentatore televisivo italiano. Professionista dal 1982 al 1996, vinse due tappe al Giro d’Italia. Dal gennaio del 2014 è CT della nazionale italiana maschile élite di ciclismo su strada.

«Nel 1961 venne disputata una sola tappa, la quarta, in Sardegna – la Cagliari-Cagliari di 118 chilometri con arrivo sul lungomare Poetto – vinta dallo ‘’sfortunato’’ Oreste Magni (morì una volta conclusa la sua carriera, insieme a sua moglie, presso la sua dimora a causa delle esalazioni di gas della sua stufa) che ebbe il suo momento di gloria nella tappa con arrivo presso il capoluogo sardo, precedendo il gruppo e facendo sì che la fuga di giornata arrivasse fino in fondo. Quella edizione del Giro d’Italia venne vinta dall’italiano Arnaldo Pambianco sul grande campione francese Jacques Anquetil, secondo classificato, e sullo spagnolo Suarez che andò ad occupare la terza piazza del podio. Lo svolgimento della tappa fu frenetico. La frazione venne disputata senza la giornata di riposo, ‘’costringendo’’ i corridori a un recupero non ottimale e a un ulteriore sforzo, inoltre il giorno seguente la carovana sbarcò a Marsala con i corridori e i direttori sportivi sistemati sulle scialuppe perché nel comune siciliano – in cui avvenne lo storico 57 sbarco di Garibaldi e dei Mille l’11 maggio 1860 – non era presente il porto in cui attraccare. Questo, indubbiamente, rappresenta uno dei momenti più pittoreschi e simpatici di tutte le edizioni del Giro d’Italia». 

Il ritorno nel 1991: la beffa di Bugno

«La corsa rosa – prosegue Carlo Alberto Melis – torna in Sardegna nel 1991, stavolta non solamente per una tappa ma per lo svolgimento di tre frazioni, con partenza da Olbia. Tra i momenti principali di questo secondo passaggio della carovana rosa nell’Isola c’è la vittoria del due volte campione del mondo Gianni Bugno (vincitore della corsa rosa nel 1990) che nella prima semitappa della seconda giornata – articolatasi da Olbia a Sassari – beffò sulla linea del traguardo Franco ‘’Coppino’’ Chioccioli che alzò le mani, convinto di aver trionfato, troppo presto. La seconda semitappa di giornata vide una cronometro disputata nelle strade di Sassari, mentre la terza e ultima tappa in Sardegna accolse ‘’il ruggito’’ del ‘’re leone’’ Mario Cipollini in volata, giunto primo al traguardo della frazione che da Sassari conduceva a Cagliari. Anche in quel caso, purtroppo, il passaggio del Giro d’Italia in Sardegna fu caratterizzato da un evento non certamente piacevole: nei giorni dello svolgimento delle tre tappe nell’isola ci fu lo sciopero della televisione che, di conseguenza, non trasmise le dirette e i momenti salienti dell’attraversamento della Sardegna da parte della carovana rosa, il che rappresentò uno batosta e una beffa enorme». 

Una tappa del giro d’Italia in Sardegna

Nel 2007 in onore di Garibaldi

«La corsa rosa – racconta Carlo Alberto Melis – torna in Sardegna nel 2007, sedici anni dopo il 1991, in occasione del bicentenario della nascita di Garibaldi. L’isola si mostrò entusiasta del ritorno della carovana del Giro d’Italia nell’isola e l’affluenza di pubblico fu cospicua, sin dalla presentazione delle squadre avvenuto sulla Portaerei Garibaldi a Caprera. Proprio da Caprera partì la prima frazione di quella edizione della corsa rosa, con una cronosquadre che conduceva a La Maddalena: vinse la Liquigas, con Enrico Gasparotto che transitò, erroneamente, prima del suo capitano Danilo Di Luca sul traguardo ‘’soffiandogli’’ la maglia rosa. 

L’idea di far transitare il gruppo dei corridori a La Maddalena è stata ripresa da Gino Mameli, storico organizzatore monserratino di gare ciclistiche in Sardegna e organizzatore del Giro di Sardegna nel 1996 e nel 1997. Mameli in occasione del Giro di Sardegna del 1997 propose il circuito de La Maddalena durante la quinta e ultima frazione della manifestazione, vinta da Massimiliano Mori il 30 marzo. La seconda frazione si svolse da Tempio a Bosa e vide la vittoria del forte velocista australiano Robbie McEwen. La terza e ultima tappa disputata in Sardegna nel 2007 vide la vittoria di uno degli sprinter più forti di sempre Alessandro Petacchi, che transitò primo sul traguardo di via Roma nella frazione che conduceva da Barumini al capoluogo. Anche in quel caso, la corsa rosa, rappresentò una gioia a metà: la squadra di Alberto Loddo – promettente velocista sardo, vincitore tra i dilettanti dell’ambito ‘’GP Liberazione’’ – non venne convocata al Giro d’Italia, lasciando a bocca asciutta lo sprinter isolano e tutti i suoi tifosi che aspettavano di vederlo transitare sulle strade di casa». 

Nel 2017 senza Aru

Il campione Fabio Aru

«L’ultima volta in cui il Giro d’Italia è transitato in Sardegna – prosegue Carlo Alberto Melis – risale al 2017. Partenza da Alghero, con vittoria del ciclista austriaco Lukas Postlberger, seconda frazione con partenza da Olbia e arrivo a Tortolì e vittoria del velocista tedesco André Greipel. La terza e ultima frazione in Sardegna ha presentato il consueto arrivo sul traguardo posto in via Roma a Cagliari con la vittoria del colombiano Fernando Gaviria. Tre tappe nell’isola e nessun acuto di un corridore nostrano. Ma la delusione più grande è rappresentata dalla rinuncia alla corsa rosa da parte del beniamino indiscusso di casa Fabio Aru – il corridore sardo più forte di sempre, vincitore della Vuelta de España nel 2015 e due volte sul podio della corsa rosa nel 2014 e nel 2015 – a causa di un infortunio al ginocchio, che gli ha impedito di confrontarsi con gli altri favoriti del Giro d’Italia per la conquista della manifestazione».  

«Il Giro d’Italia e il Tour de France – continua nella sua narrazione Carlo Alberto Melis – sono le due manifestazioni a tappe più antiche di sempre, fondamentalmente coetanee e sorte nello stesso periodo storico: la prima edizione del Tour risale al 1903, mentre il Giro d’Italia è leggermente più ‘’giovane’’ con un esordio avvenuto nel 1909. La Vuelta, tra le grandi manifestazioni a tappe, è quella più recente, con la prima edizione disputata nel 1935. Tra il Giro d’Italia e il Tour de France ci sono delle significative differenze per ciò che concerne il ‘’disegno’’ del percorso, il territorio e, soprattutto, il clima. La corsa rosa è una vera e propria avventura e le condizioni atmosferiche da sempre contribuiscono a ciò: in varie edizioni della corsa rosa il maltempo ha recitato il ruolo di protagonista assoluto, tanto che in alcuni casi – come durante il Giro d’Italia del 1984, anno in cui a causa delle condizioni atmosferiche avverse si dovette rinunciare all’attraversamento del Passo dello Stelvio – gli organizzatori sono stati costretti a cambiare ‘’in corsa’’ il tracciato da far affrontare ai corridori. Il clima ha influenzato profondamente l’andamento della corsa rosa, come quando nel 1956 il lussemburghese Charlie Gaul, realizzando una delle imprese più apprezzate della storia del ciclismo, vinse la frazione che da Merano conduceva al Monte Bondone, correndo con una temperatura gelida e la neve ad accompagnare le sue pedalate. Giunse, dopo più di nove ore di corsa, primo al traguardo, stremato e semi-assiderato.

Il Giro e il Tour, a differenza della Vuelta che si svolgeva ad aprile per poi essere spostata a settembre, sin dalle loro prime edizioni si sono sempre svolte a maggio – il Giro d’Italia – e nel mese di luglio – il Tour de France – alternando tappe piane a frazioni dal punto di vista altimetrico decisamente più impegnative. Il Tour de France, terzo evento sportivo più importante dopo le Olimpiadi e i campionati mondiali di calcio, è ribattezzato ‘’Grande Boucle’’, ovvero, grande boccolo: deve questo suo soprannome al fatto che, specie nelle sue prime edizioni, privilegiava il passaggio nelle grandi città della Francia, arrivando a girare quasi sempre attorno agli stessi luoghi. La carovana della Grande Boucle è molto più vasta e disunita rispetto sia a quella della corsa rosa che del Giro di Spagna. Il Tour è, rispetto alla corsa rosa, più rigoroso dal punto di vista organizzativo e ottiene molti più guadagni, grazie ad esempio ai trasferimenti nettamente maggiori rispetto a quelli previsti dalla corsa rosa. Ogni città, se vuole avere l’arrivo oppure la partenza di una frazione, deve chiaramente pagare una cospicua cifra di denaro per vedere transitare i corridori. Dal punto di vista atletico e qualitativo, il Tour ha sempre visto la partecipazione dei migliori specialisti delle grandi corse a tappe che, in modo tale da preparare alla perfezione la Grande Boucle, hanno rinunciato alla partecipazione al Giro d’Italia. Ciò non toglie che, in ben più di una occasione, la corsa rosa è stata in grado di offrire uno spettacolo migliore e più entusiasmante rispetto al Giro di Francia». 

Il Giro e il Tour

Una foto storica del 1961: il giro passa a Cagliari

«Il Giro d’Italia e il Tour de France sono due parti fondamentali della storia d’Italia e dei ‘’cugini d’oltralpe’’ durante i quali – per tre settimane – la dimensione civile e ciclistica si compenetrano alla perfezione, dando vita a un qualcosa di unico e memorabile. Tutto questo – evidenzia Carlo Alberto Melis – grazie all’amore che le persone, sia gli addetti ai lavori che i tifosi, hanno nei confronti della bicicletta, capace di diversificarsi, reinventarsi e affrontare al meglio le differenti fasi dello sviluppo della società. Oltre alle bici da corsa, sono state progettate e costruite le mountain bike che hanno permesso di visitare luoghi immersi nella natura e, recentemente, le biciclette con pedalata assistita che hanno reso possibile l’apertura di una nuova frontiera nella storia della bicicletta e della sua evoluzione».  

«La bicicletta – sottolinea Carlo Alberto Melis – è una scelta: c’è chi al posto della automobile e dello scooter, per recarsi ad esempio sul luogo di lavoro, decide di utilizzare la bicicletta, facendo sì che questo nobile mezzo avesse un grandissimo, e graditissimo, ritorno. Certamente non tutto è oro ciò che luccica: in moltissime occasioni si sono verificati incidenti che hanno determinato la morte di numerosi ciclisti e la strada verso il rispetto reciproco tra corridori e automobilisti è ancora molto lunga. La bicicletta, che specie in questi tempi combatte la battaglia per la sicurezza di coloro i quali ne fanno uso, è in continuo mutamento e continua ad accompagnare la quotidianità delle persone. E’ – conclude Carlo Alberto Melis – un qualcosa di più profondo che un semplice mezzo di trasporto: si tratta di una compagna di avventura che incarna alcune doti caratteriali quali la tenacia, il rispetto, la disciplina e la caparbietà, fondamentali per la crescita e la maturazione di qualsiasi individuo». 

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Chi è Carlo Alberto Melis

Melis con Fabio Aru

Nasce a Cagliari il 2 giugno 1968 ed essendo festa della Repubblica riceve un nome da re (di Sardegna), oltre al tifo rossoblù congenito. Nel 1986, dopo la maturità classica, inizia a collaborare con L’Unione Sarda, spinto dal desiderio di emulare suo nonno Fabio Nieddu Arrica, allora decano dei giornalisti sportivi sardi e accolto dall’allora caposervizio Angelo Carrus.

Appassionato di ogni sport e ogni forma di giornalismo per 14 anni fa praticamente tutto (giornali, periodici, radio, tv, uffici stampa) sviluppando ancor più la passione per il ciclismo che, come insegna Adriano De Zan, “pratica malamente per essere inattaccabile al microfono”. Capo ufficio stampa del Giro di Sardegna 1996 e 1997, ha l’opportunità di conoscere da vicino il mondo del ciclismo professionistico.

Nel 2000 viene assunto dall’Unione Sarda, nel 2003 è il primo giornalista professionista italiano a portare a termine un Ironman, nel 2006 vince la Spitsbergen Marathon (Isole Svalbard) diventando l’unico sardo ad aver vinto all’estero una gara di 42,195 km. Abbastanza per definirsi un giornalista sportivo, sì, ma inteso come aggettivo

 

Fonti:

Dalla tesi di laurea “Una storia lunga più di un secolo:il Giro d’Italia raccontato dalle grandi firme del giornalismo italiano”, di Mattia Lasio, 2020, Cagliari

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