La Nuova Sardegna cambia veste

Un lungo percorso iniziato nel 1891
Da La Nuova Sardegna - 29.04.2018

La Nuova Sardegna ha una storia ultra secolare, essendo nata nel 1891. Ma come sottolinea in diversi articoli Manlio Brigaglia, l’indimenticato storico e giornalista che col quotidiano sassarese ha collaborato a lungo e al quale ha dedicato numerosi saggi, quando si deve celebrare un anniversario tondo bisogna sempre ricordare di togliere i 21 anni di forzata chiusura (gennaio 1926 – aprile 1947) durante il periodo fascista. Al lordo di questa lunga e dolorosa parentesi nel 2021 ricorreranno i 130 dall’uscita del primo numero. Una storia travagliata e faticosa, che ha visto La Nuova comunque rinascere a partire dagli anni Ottanta con il passaggio della proprietà dal petroliere Rovelli al gruppo Espresso-Repubblica che faceva capo al grande giornalista Eugenio Scalfari e al principe Carlo Caracciolo. A cavallo degli anni Ottanta e Novanta La Nuova Sardegna è passata quindi nelle mani dell’industriale finanziere Carlo De Benedetti. Dal 1° dicembre 2016 esce dal gruppo Finegil e viene dato in gestione alla società DB InformationSpa degli editori-manager lombardi Roberto Briglia e Gianni Vallardi. Con l’acquisizione de La Stampa di Torino e del Secolo XIX, il gruppo di De Benedetti, ha dovuto cedere la testata sassarese ad un altro editore per rispettare i limiti imposti dalla legge contro il monopolio sull’editoria. Il 4 maggio 2018 ha cambiato nuovamente grafica. In questa occasione Costantino Cossu, responsabile delle pagine culturali, ha scritto un ampio articolo in cui ripercorre le principali tappe della secolare storia del quotidiano. Ecco il suo racconto.

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<<Quando si guarda al futuro – scrive Cossu sottolineando l’importanza dell’evento –  come ora stiamo facendo, tornare al passato può essere utile. Aiuta a mantenere una coerenza rispetto ad alcuni valori di fondo che di fronte alle nuove sfide non vanno perduti. Proviamo allora a raccontare il nostro giornale dalla data della sua nascita. Consapevoli che il compito sarebbe impossibile senza ripercorrere la storia della Sardegna. Troppo stretti sono i legami tra le vicende della Nuova e quelle dell’isola perché ci si possa limitare allo scorrere dei direttori e delle proprietà. Faccende che il loro peso lo hanno avuto, ma dentro contesti storici ampi, senza riferimento ai quali non si capirebbe nulla di ciò che il nostro giornale è stato ed è ancora>>.

BATTAGLIA ELETTORALE

La Nuova Sardegna nasce nell’agosto del 1891 come settimanale (diventerà quotidiano a partire dal 17 marzo dell’anno successivo). Siamo a pochi mesi dalle elezioni politiche del 23 novembre del 1890. A battersi di fronte al corpo elettorale erano stati la sinistra storica di Francesco Crispi, la destra di Antonio Starabba Rudinì e l’“estrema radicale” (come allora si diceva) di Felice Cavallotti e di Agostino Bertani (repubblicani e radicali). Vince Crispi col 58,1%; Rudinì non va oltre il 9,4 %; i cavallottiani prendono l’8,3%. A Sassari, poi, accade una cosa strana: il capo dei monarchici conservatori, Salvatore Manca Leoni, uomo di Rudinì, e il leader dell’estrema radicale Gavino Soro Pirino, decidono di allearsi in una lista comune per contrastare il candidato di Crispi. Un abbraccio “contro natura” (monarchici e repubblicani insieme) che provoca la rivolta di un gruppo di giovani radicali sassaresi: Filippo Garavetti, Pietro Satta Branca, Enrico Berlinguer (nonno paterno dell’omonimo segretario del Pci) e Pietro Moro. Insieme presentano alle politiche una loro lista di estrema, prendendo più voti della coalizione messa insieme da Manca Leoni e da Soro Pirino. Un anno dopo, nell’agosto del 1891, è proprio questo gruppo di giovani “estremisti” a fondare La Nuova Sardegna.

GIORNALE DI OPPOSIZIONE

La linea politica della testata è ovviamente di opposizione ai governi centrali e ai notabili che a livello locale, in Sardegna, concretizzano gli indirizzi generali dei poteri romani. Come rileva Girolamo Sotgiu nella sua “Storia della Sardegna dopo l’Unità” (Laterza 1996), «una parte minoritaria delle élites borghesi, quella legata alle tendenze più innovative e dinamiche messe in moto a livello nazionale dallo sviluppo del capitalismo, cerca vie d’uscita dal compromesso al ribasso tra il moderatismo monarchico, il blocco agrario del latifondo e la parte più conservatrice della borghesia nazionale». In Sardegna, avverte sempre Sotgiu, c’è una componente in più: «Un’altra tendenza veniva egualmente emergendo all’interno della classe dirigente, orientata a porre sul terreno politico, dei rapporti tra lo Stato e la regione, la soluzione della questione sarda». Una tendenza che, rifacendosi ai primordi del pensiero sardista (il federalismo cattolico di Giovan Battista Tuveri e il meridionalismo democratico di Giorgio Asproni), metteva in campo esplicitamente l’idea di autonomia regionale come «unica misura – scrive Sotgiu – che avrebbe consentito di realizzare le riforme necessarie al risanamento della Sardegna».

AUTONOMISMO E CONTROPOTERE

Che anche questa tendenza autonomista fosse presente nella linea politica della Nuova lo dimostra la posizione che il giornale – dal 1893 sotto la direzione di un giornalista di vaglia come Medardo Riccio – assume quando nel 1899 il prefetto Cassis organizza una vera e propria spedizione militare per debellare il bandistismo nelle zone centrali dell’isola. La Nuova scrive che la lotta al banditismo non si fa assediando paesi interi e sottoponendo la gente a misure di polizia eccezionali, con arresti in massa ingiustificati, sequestri di beni altrettanto arbitrari e soprusi di ogni genere. Il banditismo, scrive La Nuova, è un fenomeno sociale, che si può estirpare solo eliminando le cause economiche e sociali che lo determinano e dando voce e poteri decisionali alle comunità locali. E da che parte sia il giornale lo si vede bene anche quando nei primi mesi del 1904 i minatori di Buggerru, nel Sulcis, proclamano una serie di scioperi dopo l’ennesimo incidente mortale sul lavoro. La Nuova si schiera dalla parte dei minatori. E quando il 4 settembre del 1904 l’esercito, chiamato dalla proprietà della miniera, apre il fuoco sugli operai uccidendone quattro, il giornale denuncia senza mezzi termini la brutalità della repressione, inserendosi in una corrente di opinione pubblica nazionale che, per protestare contro l’eccidio di Buggerru, si mobilita sino alla decisione della Camera del lavoro di Milano di proclamare uno sciopero generale nazionale, il primo d’Europa, dal 16 al 21 settembre.

LA SVOLTA NAZIONALISTA

Ma le cose erano destinate a complicarsi. La svolta avviene prima con l’inizio della guerra di Libia (1913) e poi con la campagna interventista che avrebbe portato l’Italia a partecipare alla prima guerra mondiale. Di fronte alle prospettive di conquista coloniale e di “liberazione” delle Terre irredente, il fronte borghese nazionale si ricompatta nel segno di un nazionalismo venato di forti coloriture militariste. E questo vento arriva anche in Sardegna. Il 26 ottobre 1913 si tengono le prime elezioni politiche a suffragio universale, che segnano l’irrompere sulla scena politico-istituzionale delle grandi masse popolari, rappresentate non certo dal vecchio notabilato risorgimentale (moderato o radicale che fosse) ma dal Partito socialista e dall’Unione cattolica italiana. È l’inizio della fine per il vecchio sistema liberale. Dopo la conclusione della guerra, la situazione si avvita: la crisi degli assetti post unitari, insieme con l’instabilità determinata dalla forte avanzata e dalle rivendicazioni radicali del movimento socialista, lasciano spazio al populismo fascista. Le élites del Risorgimento (dalla sinistra storica alla vecchia destra sino all’estrema repubblicana e radicale) sbandano. Il direttore della Nuova, Medardo Riccio (valoroso combattente nella Grande Guerra) e un altro degli storici fondatori del giornale, Pietro Satta Branca, assumono posizioni apertamente filofasciste.

CONTRO MUSSOLINI

Soltanto la morte prematura di Riccio e di Satta Branca evita alla testata di diventare un foglio mussoliniano. Nel 1923 alla direzione del giornale il defunto Medardo Riccio è sostituito dal figlio di Satta Branca, Arnaldo, che sino ad allora aveva esercitato la professione di avvocato a Roma, dove era diventato amico di intellettuali e di politici di prima grandezza come Emilio Lussu e Gaetano Salvemini. Antifascista a tutto tondo, il nuovo direttore schiera il giornale su una linea di netta opposizione al regime montante. Alle elezioni del 6 aprile 1924 La Nuova appoggia l’avvocato Mario Berlinguer, figlio di uno dei fondatori del giornale, Enrico, e padre del futuro leader del Pci. Mario Berlinguer è eletto deputato di Sassari. Ma la reazione di Mussolini è dietro l’angolo: meno di due anni dopo La Nuova viene chiusa dopo un lungo periodo di censure e di sequestri delle copie destinate all’edicola.

LA CHIUSURA

Tutto avviene nel gennaio del 1926. Ai primi del mese si tiene a Sassari il congresso provinciale del Partito nazionale fascista, che in città, per fare concorrenza alla Nuova, aveva nel frattempo aperto un giornale amico, L’Isola. Tutti i delegati si scatenano contro Arnaldo Satta Branca e contro la sua redazione. Il 21 gennaio, dopo un sequestro di tre giorni, l’ennesimo, disposto dal prefetto, La Nuova manda in edicola il suo ultimo numero prima della lunga notte fascista. Racconta Manlio Brigaglia nel libro di Carlo Figari “Dalla linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini a oggi” (Cuec Editrice): «Quel numero della Nuova è un unicum nella storia del giornalismo italiano: in prima pagina compaiono su una sola colonna la cronaca del congresso del Partito nazionale fascista e il decreto dell’ultimo definitivo sequestro. A fianco, su cinque colonne, una serie di inserzioni pubblicitarie scelte tra le più “volgari”: rimedi per il mal di piedi, farmaci contro le vene varicose, pillole per combattere la stitichezza, l’insetticida “Razzia”».

Il RITORNO IN EDICOLA

La Nuova resterà chiusa per ventun anni. Tornerà in edicola, ancora sotto la direzione di Arnaldo Satta Branca, il 27 aprile 1947. E sarà un’altra storia.

 

Fonti:

Da La Nuova Sardegna, 29 aprile 2018, articolo di Costantino Cossu

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