Trasporti all’anno zero

Collassa il sistema di collegamenti con l'Isola

La foto in bianco e nero mostra mio padre che osserva con una certa apprensione la sua Fiat 1100 mentre veniva imbragata in una rete e issata con una gru sulla nave per Civitavecchia. Era la metà degli anni Sessanta e per la rotta tra Cagliari e la penisola le auto venivano imbarcate in questo modo, come tutte le merci che viaggiavano sulle navi commerciali. I passeggeri salivano a bordo lungo una ripida scaletta con scene che, a ripensarci oggi, apparirebbero comiche. I genitori che tenevano per mano i figli e raccomandavano attenzione a tutti, con l’ansia di non inciampare rischiando di finire in acqua. E poi i facchini che si facevano largo trasportando sulle spalle due o tre valigie alla volta. Per noi ragazzi poco più che decenni il viaggio tra Cagliari e Civitavecchia era un’avventura. La banchina di ormeggio era al molo “Dogana”: lì attraccavano le navi poi sostituite dai primi traghetti Canguro che finalmente accoglievano auto e camion nella pancia attraverso i portelloni. Quella foto, spuntata da un album dimenticato, fu scattata con la mia prima Kodak automatica, che conservo come un cimelio. 

Il porto industriale, legato al Piano di Rinascita, era già un grande progetto che ho visto crescere per quarant’anni con una lentezza da opera faraonica. Nel mio lavoro di cronista, durante un’inchiesta sul sistema portuale, ebbi modo di intervistare l’allora comandante del Comparto marittimo, ammiraglio Battaglia, che con vero coraggio e contro l’opinione comune dei politici manifestò previsioni nefaste per il presente e soprattutto il futuro del nostro scalo industriale, già condannato dalle politiche nazionali e dalle prospettive dei traffici internazionali. Fu sommerso di critiche anche perché come militare non si sarebbe dovuto sbilanciare. Il tempo gli ha dato ragione: il porto canale è diventato un pozzo senza fondo e nel mentre sono scomparse le navi container. Però amministratori con lauti stipendi e politici inadeguati continuano ad annunciare un imminente rilancio, con quali realistici programmi ancora non si sa. 

In quegli anni Sessanta che segnarono il passaggio dal boom economico ad una nuova epoca di speranze industriali (petrolchimica, turismo, edilizia) si incrementarono i trasporti aerei con l’arrivo dei primi jet, i Caravelle 210 e poi i DC9 di Alitalia, Itavia e Alisarda. Feci in tempo (era il 1965) a fare il mio primo viaggio in aereo che coincise con l’ultimo volo dei vecchi Viscount a quattro eliche. Oltre due ore per giungere a Fiumicino, ma l’emozione di guardare dall’alto le coste della Sardegna e le nuvole, fecero sì che mi sembrasse proprio di volare. Certo che l’anno dopo il primo viaggio sul Caravelle, durato meno di un’ora, fu davvero una conquista epocale. 

Non parliamo dei treni che per andare da Cagliari a Sassari ci voleva una giornata. Nomi di stazioni che parevano spuntate nel deserto (“signori, a Chilivani si cambia!”) segnavano le tappe di una trasferta interminabile. Immagini di un’epoca che Montanelli fotografò con sette straordinari reportage usciti nel giugno del 1963 sulla terza pagina del Corriere della Sera e due anni dopo raccolti nel volume “Italia sotto inchiesta” (Sansoni editore).

Il mitico Indro, mettendo a fuoco il problema dei trasporti scriveva che «lo Stato sinora ha speso nell’isola, d’interventi straordinari, oltre seicento miliardi. E si prepara a spenderne, sempre d’interventi straordinari, altri quattrocento nei prossimi dodici anni. Ma non riesce a trovarne trenta o quaranta per un intervento ordinario sui porti e sulle linee di comunicazione marittima, il cui scandaloso disservizio rappresenta la più catastrofica strozzatura della vita sarda… Qui in Sardegna io non capisco più dove finisce lo Stato e comincia la Regione, e viceversa. Vedo soltanto che ci sono delle lacune paurose, delle contraddizioni paradossali. L’unica cosa che non vedo è un dialogo fra Cagliari e Roma per porvi rimedio».

Quasi sessant’anni dopo, il porto canale è in coma profondo; i collegamenti marittimi sono allo sbando con il taglio di rotte fondamentali; Alitalia non esiste più; le ferrovie sono come allora. La “continuità territoriale” uno slogan senza contenuti. Arrivano miliardi di euro dall’Ue – come scrive Mauro Pili su queste pagine – ma nessun finanziamento previsto per i trasporti sardi.

Siamo tornati alla casella di partenza, con una classe politica regionale rissosa e inconcludente a Cagliari e senza alcuna voce a Roma. Ahimè, cancellando oltre mezzo secolo di crescita, gli articoli di Montanelli sembrano scritti oggi. 

Fonti:

L’Unione Sarda, 16.09.2021

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