Le democrazie in crisi

Il 2024 si annuncia pieno di incognite per il mondo

Il peggior nemico per la democrazia è la democrazia stessa, come sostiene nei suoi saggi Tom Nichols, il politologo di Harvard, ex repubblicano che ha lasciato il partito disgustato da Trump. Da un decennio analizza la crisi dell’Occidente, dove le democrazie sono minacciate dall’interno. I populisti fomentano passioni violente e soffiano sul fuoco della paura e dell’insoddisfazione. Ma sono gli elettori a mandarli al potere. In un Paese nel quale il presidente è eletto dal popolo l’esito delle urne ha sempre ragione. Ovviamente il concetto vale per le democrazie reali di tipo occidentale e non per regimi dove si va a votare un unico candidato forte che compete (si fa per dire) con una pletora di avversari senza alcun seguito e un’opposizione vera, terrorizzata e ridotta a semplice comparsa di facciata. Esempi più eclatanti la Russia di Putin dove lo zar andrà alla prossima consacrazione nel marzo del 2024 con un risultato già scontato, con la Turchia di Erdogan il quale ha già incassato la rielezione e, in questi giorni, l’Egitto che ha appena confermato Al Sisi per il terzo mandato sino al 2030.

Nei regimi presidenziali-dittatoriali che ormai dominano larga parte del mondo il voto è un rituale per ratificare il potere, confermare il consenso popolare e minimizzare le opposizioni quando pur ancora coraggiosamente esistono. I problemi emergono nei Paesi europei e nelle poche democrazie orientali o sudamericane dove i partiti nazionalisti e sovranisti hanno portato al governo presidenti leader dal discusso profilo democratico, tipo l’ungherese Orban per citare il più evidente, il serbo Aleksandar Vučić e l’olandese Geert Wilders che stenta a ottenere una maggioranza parlamentare col suo partitino di ultradestra che pure ha vinto le elezioni. 

Le analisi dei politologi si sprecano nel spiegare i motivi del successo dei singoli vincitori, sottolineando come le vittorie in realtà sono le sconfitte delle opposizioni di sinistra divise al voto e senza più un “appeal” popolare per mancanza di politiche incisive per le classi medie e più povere, con il dilagante aumento dell’astensionismo. Il non voto spesso diventa numericamente il vero vincitore o per lo meno il secondo partito di maggioranza con cui formare un governo di coalizione. Questo il quadro generale dei risultati elettorali ottenuti nell’anno che se ne va nei Paesi chiamati a rinnovare il mandato presidenziale. 

L’unica vera sorpresa che ha lasciato senza spiegazioni plausibili i commentatori è il clamoroso successo dell’argentino Javier Milei, che ha vinto rompendo tutti gli schemi conosciuti con un inedito partito ultranazionalista-antisistema-liberista e anarcocapitalista. Nessuno dei commentatori sinora ha saputo chiarire come Milei farà a rilanciare il suo Paese in ginocchio adottando il dollaro al posto del peso, eliminando la Banca argentina e privatizzando ogni impresa statale.

In questo panorama politico caotico, sconvolto dalle guerre in Ucraina e Palestina, si entra nel nuovo anno con un mondo in stato ansiogeno per le troppe incognite sospese. L’Europa e la Nato, ma anche il complesso delle Nazioni Unite, sono legate a doppio filo al voto americano di novembre. Se Trump vincesse, come affermano sul Corriere della Sera Federico Rampini e Beppe Servegnini grandi esperti di Stati Uniti, sarebbe un disastro planetario. La Nato farebbe una brutta fine, con gran gioia di Putin e Xi Jinping. Il sistema giudiziario non reggerebbe. La verità diventerebbe un optional. I diritti civili tornerebbero indietro di decenni. Le milizie di ultradestra la farebbero da padrone. Preoccupazioni legittime perché il pericolo di una vittoria di Trump – sottolinea anche Nichols – è reale. L’uomo è incattivito e dichiara esplicitamente i propri intenti vendicativi. Dal voto americano potrebbe dipendere il futuro dell’Europa e della Nato in quanto Trump presidente rimetterebbe in discussione la politica dell’Alleanza atlantica e l’appoggio all’Ucraina. Insomma, per l’Ue e la Nato si annuncia un 2024 pieno di inquietanti interrogativi.

Fonti:

L’Unione Sarda, 20.12.2023

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