Contro l’arroganza del potere e la violenza della repressione le uniche armi degli oppositori sono le voci delle proteste. Fiumi di persone che sfilano per le strade con striscioni e cartelli sfidando le cariche e gli spari della polizia sono un segnale fortissimo, un atto di grande coraggio, un grido di libertà rivolto ai propri connazionali e al mondo. Migliaia di voci per rompere il silenzio della censura e le menzogne dei presidenti-dittatori. Uomini e donne di ogni età, pronti a farsi massacrare a bastonate, a finire in carcere, a essere bersagli di cecchini che usano pallottole vere. Così in Iran, Siria, Taiwan, Turchia, Myanmar, Bielorussia e soprattutto in Russia. Ogni domenica all’Angelus papa Francesco ricorda le vittime della guerra in Ucraina, prega per la pace in quel paese martoriato dai missili, lancia moniti a chi non dà alcun valore alla vita di popoli innocenti, mandando i suoi giovani a morire e a distruggere un’intera nazione.
La guerra non si ferma, ma neppure le voci del dissenso che resistono e si allargano nonostante la paura e la ferocia della repressione. Sono le mogli e le mamme dei soldati russi che non possono parlare, perché già al fronte o intimoriti dalla possibilità di ricevere la cartolina di precetto, a tenere alta la protesta. Il loro grido si diffonde non più o non solo nelle strade, ma attraverso i social media, una piazza virtuale sempre più affollata da cittadini russi che esprimono dissenso verso il conflitto.
Sul web circola una petizione per chiedere a Putin il ritorno a casa dei soldati mobilitati in massa e a forza. L’iniziativa – afferma l’Institute for the Study of War (Isw), un think tank di esperti con sede negli Stati Uniti – è riuscita a raccogliere circa 38 mila firme in breve tempo. “Questo fenomeno – sottolinea – ha gli ingredienti per innescare movimenti organizzati online” che sono lo strumento per raccontare la verità sotto gli occhi di tutti e ribaltare la narrazione farsesca di Putin. E come risponde lo zar? Convoca una delegazione di madri e mogli davanti alla Tv e le invita a non credere a quelle che ha liquidato come “false notizie, inganni e menzogne diffuse attraverso internet”, esprimendo la sua profonda solidarietà “per i soldati morti da eroi”.
Ahimé, comprensione per quelle donne accuratamente selezionate per l’occasione alla stregua di figuranti, ma nauseante rigetto nel vedere il presidente leggere con tono glaciale un discorsetto scontato e ripetuto mille volte in questi nove mesi. L’iniziativa del Cremlino ha sollevato le critiche dell’associazione che riunisce madri e mogli di militari, che in un messaggio sui social ha precisato di non aver ricevuto alcun invito per incontrare il presidente. E poi sui siti occidentali sono apparse le immagini di alcune donne che, con immenso coraggio, dicono ai giornalisti di essere a Mosca da giorni, di aver visitato “ogni sede istituzionale cercando in tutti i modi di avviare un dialogo con le autorità, ma sembra che questo non sia possibile”.
La recente storia insegna che proprio le madri, le mogli e persino le nonne, sono le nemiche più irriducibili dei dittatori che non possono arrestarle tutte o farle sparire in massa. Anche se ci hanno provato in passato in altri paesi. Proprio nei giorni scorsi l’Argentina democratica del “peronista moderato” Alberto Fernandez ha decretato tre giorni di lutto nazionale per la scomparsa di Hebe de Bonafini, presidente delle Madri di plaza de Mayo. Aveva 93 anni. Ha passato più di metà della vita cercando due figli, sequestrati dalla dittatura militare nel 1977. All’inizio cercava da sola i figli scomparsi, finché un giovedì qualcun altra si aggiunse e decisero di protestare insieme sperando di essere ricevute dal dittatore Jorge Rafael Videla. Quando un poliziotto ordinò loro di andarsene, cominciarono a camminare intorno alla piazza davanti alla Casa Rosada, sede del governo. Da allora sfilarono tutti i giovedì, crescendo di numero ogni volta. A centinaia, con in testa il fazzoletto bianco e al collo le foto dei desaparecidos, non sono mai mancate durante gli otto anni della dittatura e continuano ancora oggi per tenere alto un presidio di memoria per i figli scomparsi.
Con Ebe tra le prime “madres” c’era anche una emigrata sarda, Maria Manca di Tresnuraghes, a cui avevano sequestrato il figlio Martino Mastinu e ucciso il genero Mario Bonarino Marras. Anche lei, ottantenne e malata, ha continuato a sfilare sino ai suoi ultimi giorni. Nessuno può fermare la voce delle donne, nelle piazze come su internet. E Putin lo sa bene.