La Storia di tutti noi

L'anniversario del 25 aprile 1945, festa della Liberazione

Il 25 aprile non è una celebrazione qualunque, una scampagnata folcloristica con bandiere e gagliardetti dell’associazione partigiani. Non è un anniversario retorico da segnare sul calendario per organizzare un ponte festivo. E soprattutto non può essere paragonato, con un’azzardata metafora, ad un derby calcistico, di quelli che da sempre dividono gli italiani malati nel Dna da un secolare campanilismo. Sin qui che cosa non è. Diciamo ora cosa rappresenta quella data scelta dal primo governo libero nel 1946 non a caso, ma perché segnò con la liberazione di Milano e Torino la fine dell’ultima guerra in Italia e la caduta del fascismo dopo vent’anni di una dittatura che aveva portato il Paese alla guerra e alla distruzione. Si celebra la vittoria della Resistenza e degli Alleati sul nazifascismo, pietra fondante della repubblica democratica che sarebbe nata da lì a un anno col referendum plebiscitario del 2 giugno 1946. Per la prima volta anche le donne poterono andare al voto.

Nessuno, e soprattutto chiunque rappresenti le istituzioni con un ruolo pubblico come un ministro, può permettersi di snobbare l’evento o degradarlo al ruolo di una manifestazione retorica. Niente può essere più importante che ricordare la vittoria del bene sul male, della democrazia sulla dittatura, della libertà sull’oppressione. Non c’è revisionismo o relativismo che tengano, non si può riscrivere la storia secondo il vento politico. È importante, anzi fondamentale, la lotta alle mafie e alla criminalità, ma non esistono contro-manifestazioni che possano oscurare una giornata che deve essere la festa di tutti gli italiani. Anche di chi la pensa in modo diverso, considerando che al contrario del fascismo, la democrazia garantisce a tutti il pensiero e le scelte nell’urna.

Oggi il fascismo è tornato di moda, se ne parla con troppa leggerezza e ignoranza, col timore che dietro ci sia un disegno politico che punta a banalizzare il regime del “ventennio”. Si arriva a minimizzare il dispotismo del regime mettendo sulla bilancia le molte cose positive che ha fatto. Di certo Mussolini avviò grandi opere pubbliche, lavori di bonifica, modernizzazione del Paese analfabeta, povero ed economicamente ottocentesco. Ma il fascismo fu una dittatura totalitaria che, grazie a una perfetta e invasiva macchina propagandistica, seppe costruire il consenso attorno alla figura del Duce, eliminando, imbavagliando o incarcerando le poche voci del dissenso.

Questo dobbiamo ricordare il 25 aprile. Non si può giustificare il Duce sino al 1938 e addirittura sino al 10 giugno 1940, riducendo la promulgazione delle leggi razziali e la decisione di entrare in guerra a fianco di Hitler come scelte strategiche sbagliate o incidenti di percorso. Si tratta di una falsificazione storica clamorosa, perché furono le tappe inevitabili di un disegno politico coerente, iniziato con la presa di potere e con la fascistizzazione delle istituzioni. Bastarono un paio di anni per trasformare lo Stato in strumento della dittatura, riducendo i poteri del Parlamento, limitando i diritti di libertà, legalizzando la violenza squadrista. Ogni dissidente venne piegato o messo a tacere.

Mussolini saluta dal balcone di Piazza Venezia

I fatti della storia nel suo sviluppo cronologico, non possono essere modificati o interpretati a proprio piacimento, secondo un giustificazionismo che mette sullo stesso piano fascisti e antifascisti.

È vero che durante il ventennio senza tessera non si poteva lavorare e neppure avere una vita sociale, quindi la gran parte degli italiani fu partecipe necessariamente al processo di fascistizzazione. Non tutti i tesserati al Pnf, in realtà, furono ideologicamente fascisti. Ed è vero che molti giovani si ritrovarono obbligati con le armi o dalle circostanze del momento a combattere per la repubblica di Salò.

Ma le responsabilità di Mussolini e di chi con lui partecipò alla presa del potere e alla guida del Paese sino al 25 aprile 1945 non possono essere edulcorate o banalizzate.

Oggi qualsiasi fiammata neofascista, le manifestazioni prepotenti di CasaPound, la rinascita di forze dell’estrema destra con slogan e simboli già visti in un passato dagli esiti tragici, devono far paura perché hanno nella loro natura quei germi che portarono al totalitarismo di Mussolini. Questa è la storia, tutto il resto sono discorsi che puntano a una pericolosa deriva sovranista. La bella Ungheria di Orban, nel cuore della nostra Europa, è lì a mostrarci come sia facile cambiare le regole delle democrazia.

Fonti:

L’Unione Sarda, 25.4.2019

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