In Kazakistan tragico copione

Un'altra rivolta popolare repressa nel sangue

Quando un regime dittatoriale che governa da decenni un intero paese viene scosso da un’improvvisa e dilagante protesta popolare reagisce sempre allo stesso modo: con le armi, la spietata repressione, gli arresti in massa, il totale blocco di internet e di ogni forma di informazione. Mentre cerca di sedare le manifestazioni di piazza con la forza più brutale mette in atto la macchina propagandista con un copione che sembra scritto dall’identica mano. Racconta del buon dittatore, amato dai suoi connazionali, sotto attacco di terroristi, guidati da misteriosi leader che mirano a sovvertire l’ordine “legale”. In aggiunta al copione non mancano piani sovversivi pilotati dall’esterno, dove ricchi oppositori quali l’ungherese Soros, l’imam turco Gulem, diversi oligarchi russi e bielorussi, ben al sicuro in qualche capitale occidentale, forniscono soldi e armi ai terroristi. Ovviamente il tutto condito dal complotto internazionale con l’immancabile ombra dei servizi segreti americani e israeliani. 

Il nuovo anno si è aperto con la manifestazione popolare ad Almaty, ex capitale, ma più importante metropoli del Kazakistan. La protesta nata dalla decisione del governo kazako di eliminare il limite massimo al prezzo del gas e per gli aumenti dei generi di prima necessità, è diventata in poco tempo una rivolta più ampia contro il governo, considerato autoritario e corrotto. Tra gli obiettivi delle migliaia di manifestanti non c’è soltanto il presidente Tokayev, ma anche il suo predecessore Nursultan Nazarbayev, al potere assoluto tra il 1990 e il 2019. Per noi occidentali è stata una sorpresa questa rivolta in un paese grande nove volte l’Italia e con appena 19 milioni di abitanti.

La risposta del regime è stata durissima e sanguinosa: si parla di centinaia di morti, oltre 2 mila feriti e 5 mila arresti, perché l’ordine immediato è stato di sparare contro la folla inerme, mentre le informazioni ufficiali ridimensionano tutto a poche decine di vittime tra i terroristi e anche tra i militari, aggiungendo il particolare horror di un agente decapitato. Impossibile, senza fonti alternative, avere notizie certe e- contrariamente a ciò che è avvenuto in Bielorussia – non si conoscono voci di leader e dissidenti. L’ultima notizia riguarda l’arresto di Karim Masimov, ex capo dei servizi di sicurezza kazaki ed ex premier con l’accusa di alto tradimento. Fatto che farebbe pensare a un tentativo di golpe guidato dall’alto, come accadde in Turchia nel 2016 e che fu il pretesto del sultano Erdogan per una gigantesca repressione. Vedremo gli sviluppi.

Nursultan Nazarbayev

Ma sinora le autorità hanno parlato di terroristi e il terrorismo (soprattutto se sono migliaia di persone) non nasce in modo spontaneo, senza capi e organizzazione. Quindi è probabile che la rabbia popolare sia esplosa come un vulcano pressato dalle condizioni precarie di vita e dalle ultime decisioni economiche del governo. 

Tokayev, burattino che agisce in nome dell’ottantenne Nazarbayev (nella foto di copertina una sua statua gigante abbattuta dai manifestanti), ha chiesto e ottenuto l’intervento dell’alleanza militare di ex paesi sovietici guidati dalla Russia. Il timore di Putin è che la rivolta kazaka possa dilagare in altri paesi satelliti dell’ex Urss dell’Asia e dell’Europa orientale, minacciando la stabilità regionale. Per questo, come d’altra parte avviene per la Nato, il Csto (l’alleanza Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) prevede l’intervento militare in aiuto di uno dei paesi membri in caso di aggressione. I carri armati, come si dice, per una “missione di pace”. 

Nell’estate scorsa la rivolta è scoppiata in Bielorussia e dopo nove mesi è ancora in atto la dura repressione di Lukashenko. Oggi sono in carcere almeno tremila persone. L’altro punto caldo resta l’Ucraina dove nel 2014 i russi hanno apertamente sostenuto i secessionisti del Donbass e poi si sono presi anche la strategica e ricca Crimea. La storia insegna e si ripete. All’epoca dell’impero sovietico il Cremlino vigilava con i suoi uomini al potere, basi e contingenti schierati in difesa del governo comunista. Così accadde a Berlino nel 1948, a Budapest nel 1956 e a Varsavia nel 1968. Tutto fa pensare, guardando la Bielorussia e da questi giorni il Kazakistan, che Putin non consentirà sconvolgimenti dei regimi amici (se non qualche cambio di facciata). Ma non raccontiamo la verità dei media ufficiali, senza prendere le distanze e senza la possibilità di verifiche, che sia in atto un’offensiva terroristica. Far terrore invece è sparare sulla folla che protesta per la fame e la corruzione dei governi. 

Fonti:

L’Unione Sarda, 11.01.2022

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