Le verità differenti per il caso Moro

I processi e il segreto di Stato

Per il caso Moro esistono due verità. Una processuale e una storica, quest’ultima non ancora scritta perché coperta da molte zone d’ombra e dal segreto di Stato che sarà sciolto solo fra 30 o 50 anni. La verità storica dovrà far luce sui misteri e sugli elementi emersi dopo i processi e le inchieste parlamentari, quando sarà possibile conoscere i coinvolgimenti dei servizi segreti italiani, della Cia e del Kgb, e persino della malavita organizzata. Nessuno parla più di un “gran burattinaio”, ma di certo esiste una zona d’ombra in cui agirono numerosi interessi e personaggi.

Il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro

La verità processuale, seppure criticata, invece è nota e definitiva dopo le diverse sentenze passate in giudicato. I quattordici imputati condannati all’ergastolo o a pene altissime per il massacro di via Fani, il sequestro e l’uccisione del leader democristiano, oggi sono tutti fuori. Due ex brigatisti non hanno mai scontato un giorno di carcere: Alvaro Lojacono fuggì in Svizzera. Presidiava la parte alta di via Fani, con Alessio Casimirri, l’altro latitante che vive sereno in Nicaragua dove gestisce un ristorante. Alcuni sono morti per malattia come Prospero Gallinari (che faceva parte del gruppo di fuoco) e Germano Maccari. Gli altri, in gran parte dissociati quasi nessuno pentito, dai giornali e dalla tv sappiamo che vivono in semilibertà tra lavoretti in comunità e cooperative sociali, scrivono libri e non disdegnano di rilasciare qualche intervista a gettone per spiegare il tragico periodo degli “anni di piombo”. Dal loro punto di vista. Ricordiamo che negli anni 70/80 si contarono 600 morti e migliaia di feriti. Cinque o sei di quegli ex brigatisti rossi gli abbiamo visti apparire in questi giorni, in occasione del quarantesimo anniversario per la strage di via Fani, in alcuni programmi televisivi. O come Barbara Balzerani alla presentazione di un suo libro.

Le loro tesi ovviamente hanno suscitato dolore tra i familiari delle vittime, aspre critiche e persino ripugnanza tra chi, con un minimo di raziocinio, sia in grado di riconoscere in quei volti di anonimi sessantenni i vigliacchi assassini che dicevano di combattere per il popolo contro lo Stato <<tiranno e fascista>>. I Brigatisti erano terroristi e per definizione i terroristi sono criminali che, sotto la copertura ideologica, religiosa e politica, uccidono a sangue freddo, sparando alle spalle o utilizzando bombe, mettendo a segno vili agguati in cui le vittime non possono quasi mai difendersi. Questi erano quegli ex giovani che oggi, pur ammettendo la sconfitta, rivendicano la bontà delle loro scelte giovanili.

Per questo il capo della polizia Franco Gabrielli ha dichiarato che è stato un oltraggio vedere in tv gli ex terroristi ricordare cosa accade in via Fani. <<Sì, lo è se non vengono ricordate le loro responsabilità, se si lascia loro il monopolio della verità e se ci si dimentica di chiamarli con il loro nome: assassini e terroristi>>, ha sottolineato Mario Calabresi su Repubblica.

Nella trasmissione “Atlantide” realizzata da un grande giornalista qual è Andrea Purgatori, abbiamo sentito Moretti (che si è attribuito il ruolo del killer di Moro), Morucci, Gallinari e Fiore, ripetere i loro discorsi oggi ancor più incomprensibili per linguaggio, slogan, giustificazioni e analisi politiche. Le interviste per un docufilm francese risalgono al 2011 (nel frattempo Gallinari è deceduto), ma hanno disorientato il telespettatore perché mancava il contraddittorio, la voce che facesse notare loro le contraddizioni e le differenze tra chi aveva il mitra in mano e chi invece veniva crivellato dai colpi. Un altro grande giornalista, Enzo Mauro, nella ricostruzione di via Fani per Raitre ha intervistato l’inquietante “postina” dei brigatisti, Adriana Faranda, compagna di Valerio Morucci, entrambi dissociati dalla lotta armata e rilasciati nel 1994. Alla fine dei due programmi ci saremmo attesi di vedere l’elenco con i nomi, le foto, le accuse, le condanne, e l’attuale posizione, di tutti i 14 della banda. Come nei film rievocativi. Ma questo epilogo è stato dimenticato.

Fonti:

L’Unione Sarda, 26.03.2018

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