La memoria dell’indicibile

Il ricordo della Shoah

Era il 1962 quando un libro e un clamoroso processo svelarono agli italiani l’enormità dell’Olocausto, volutamente dimenticato dal dopoguerra perché i superstiti non volevano più ricordare l’orrore della persecuzione e i carnefici facevano di tutto per nascondere responsabilità e crimini, oltre a riciclarsi nella nuova Italia democratica. “Il Giardino dei Finzi Contini” fu uno dei primi veri best seller della nostra letteratura e consacrò l’autore Giorgio Bassani tra i grandi narratori del Novecento. Raccontava la storia di un’aristocratica famiglia ebraica di Ferrara nel ricordo romanzato dello scrittore, egli stesso israelita, dagli anni giovanili della scuola alle infami leggi razziali del 1938, dalle persecuzioni in massa alla deportazione nei lager tedeschi da cui i Finzi Contini come altri concittadini ferraresi non tornarono più. Fu dunque un romanzo, che tra l’altro ispirò il film di Vittorio De Sica premio Oscar nel 1972, a rompere il muro del silenzio attorno alla Shoah. Lo sterminio perpetrato dai nazisti aveva inghiottito settemila dei quarantamila ebrei italiani che nel ventennio fascista vivevano ed erano ben integrati nel Paese. 

L’immane dimensione e la scientifica pianificazione dell’Olocausto, in quell’anno venivano fuori giorno dopo giorno col processo al gerarca nazista Adolf Eichmann catturato in Argentina dal Mossad e portato a Gerusalemme dove fu giudicato e condannato a morte. Il processo venne trasmesso in diretta alla radio israeliana e seguito dai giornali del mondo. Ora anche gli italiani sapevano tutto e nessuno poteva più far finta di niente. Fu una scoperta choccante per la maggior parte che dal dopoguerra aveva cancellato o ignorato ciò che era accaduto. 

“Raccontare l’indicibile” come fu l’Olocausto – scrisse Primo Levi – non è facile, il timore di non essere creduti o il disinteresse per una storia che si voleva dimenticare o persino nascondere. Motivi politici negli anni Cinquanta, nel clima della guerra fredda con i tedeschi che erano diventati alleati contro il pericolo comunista. Motivi storici per non rivangare il passato fascista quando il regime nel 1938 promulgò le leggi razziali (approvate dal re Vittorio Emanuele III)  con le quali gli ebrei furono emarginati ed esclusi dalla vita civile, italiani senza più alcun diritto, senza poter lavorare o studiare. 

Motivi individuali che vedevano contrapposti da una parte i sopravvissuti e dall’altra chi, a vario titolo, era stato responsabile e partecipe degli arresti e delle deportazioni. Dai militi fascisti ai vicini di casa che denunciarono gli ebrei o chiusero gli occhi. Nel 1947 ci aveva provato un sopravvissuto, con la testimonianza di chi era sceso all’inferno ed era miracolosamente tornato alla vita, ma il libro di Primo Levi “Se questo è un uomo” era stato respinto dalla Einaudi e pubblicato solo dieci anni dopo senza clamore. Oggi è un testo di studio adottato in molte scuole, come “il Giardino dei Finzi Contini” che poi aprì la strada ad un genere letterario inesauribile. 

Da allora è impossibile ignorare la Shoah, a cui lo stato italiano con la legge 211 del 2000 dedica il Giorno della Memoria che si celebra ogni 27 gennaio con eventi, mostre ed iniziative di ogni genere. In questa settimana scuole, università, istituzioni, associazioni culturali, sono chiamate a ricordare lo sterminio di sei milioni di ebrei rastrellati in ogni terra conquistata dai nazisti. Le librerie dedicano interi spazi all’argomento e tutte le tv trasmettono film e documentari in continuazione. Quest’anno ricorre il 78mo anniversario della liberazione da parte dell’Armata Rossa di Auschwitz-Birkenau, il più grande lager divenuto il simbolo dell’intera macchina di annientamento di un popolo messa in atto dal nazismo. 

Ogni anno, dall’istituzione per legge, la ricorrenza serve a tenere viva la memoria della Shoah, ma anche a ritrovare le verità nascoste dai vinti e e dai vincitori. Ma è anche occasione per ringraziare quanti, a rischio della propria vita, operarono per salvare molti ebrei. Quelli che sono chiamati i “Giusti di Israele”, sinora 20 mila riconosciuti tra cui 500 italiani. A dieci di questi “Giusti”, legati per diversi modi alla Sardegna,  la Fondazione Siotto di Cagliari dedica una targa e un albero nel giardino del palazzo di via Genovesi. L’altra faccia della Shoah mostra che, nonostante le apparenze e le complicità, ci fu chi aiutò direttamente gli israeliti a scampare alla morte. Per questo il Giorno della Memoria va oltre l’anniversario del 27 gennaio, abbracciando un’intera settimana di riflessioni e testimonianze rivolte soprattutto ai giovani.

Fonti:

L’Unione Sarda, 26.10.2023

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