Bimbi poveri nei Paesi ricchi

Allarmanti dati nel rapporto Unicef

Si dice che le prime vittime delle guerre siano i bambini. Verissimo, piccoli innocenti sotto le macerie, in fuga dalle case, trasportati a braccia negli ospedali già affollati di altri feriti. Le foto e i filmati di questi bambini mostrano sguardi terrorizzati e stralunati come se non capissero l’inferno che si è scatenato attorno a loro. Molti piangono di dolore e di paura, ma altri non hanno più lacrime e neppure si lamentano in balìa del caos totale della guerra. Stretti alle mamme, ai familiari o ai soccorritori aspettano aiuto e un destino che nessuno conosce. Lasciano alle spalle le abitazioni distrutte e le scuole che non rivedranno. Per chi si salva inizia il lungo calvario verso i campi profughi o luoghi ignoti e lontani. Come per i bambini palestinesi sotto il fuoco dei cannoni israeliani, senza dimenticare e anzi ricordare per primi i piccoli ebrei che hanno visto l’orrore dell’attacco di Hamas ai loro villaggi, sono stati rapiti o si sono salvati miracolosamente restando segnati per sempre nel ricordo di quel 7 ottobre. Vediamo le immagini di Gaza, così come quelle della guerra in Ucraina o dei conflitti regionali che ormai si succedono senza sosta in ogni angolo del pianeta, dal Medio Oriente all’Afghanistan, dall’Africa sahariana al Myanmar. Non bastano le parole di Papa Francesco le domeniche all’Angelus per fermare una strage continua di piccole vittime.

Ma che pensare se le ultime statistiche dell’Unicef affermano che oltre 69 milioni di bambini vivono in povertà nei 40 Paesi più ricchi del mondo? Qui non sono le bombe a fare i disastri. Potenze industriali ed economiche, tra cui l’Italia, dietro le apparenze di un benessere generale e crescente nascondono numeri incredibili. Numeri che significano persone, in questo caso bambini e bambine che ogni giorno devono vivere una realtà che non si addice a Paesi dell’Unione Europea e dell’Ocse. Denutrizione, degrado, abbandono, maltrattamenti, mancanza di asili o scuole, un presente drammatico soprattutto se inquadrato in Paesi occidentali prosperi e un futuro che nessuno sa loro prefigurare. 

Si avvicina il Natale e nelle nostre case arrivano tanti inviti per contribuire come si può con invio di soldi per aiutare associazioni umanitarie, benefiche, per la ricerca sanitaria, Ong e missionari che all’estero operano per salvare quei piccoli dei Paesi martoriati dalle guerre e dalle catastrofi climatiche. Per i milioni di bambini poveri dei nostri Paesi occidentali invece dovrebbero essere i governi, le politiche sociali ed economiche dei singoli stati, le organizzazioni locali a provvedere per l’assistenza e la loro crescita. Ma a leggere i numeri pubblicati dall’ ultimo rapporto “Unicef-Innocenti” sembra che siamo molto lontani da garantire il futuro delle nuove generazioni. 

Nei 40 dei Paesi più ricchi del mondo più di un bambino su cinque vive in povertà. Nell’Ue in particolare Francia, Islanda, Norvegia, Regno Unito e Svizzera hanno registrato forti aumenti della povertà minorile tra il 2014 e il 2021, mentre Lettonia, Lituania, Polonia e Slovenia hanno ottenuto le maggiori riduzioni. Guardando alla classifica della povertà monetaria, l’Italia si posiziona 34ma su 39 Paesi, con più di un bambino su quattro (25,5 per cento) in condizioni di povertà relativa legata al reddito familiare. 

Il rapporto dell’Unicef analizza le politiche di sostegno al reddito e rileva che, nonostante la diminuzione complessiva della povertà di quasi l’8 per cento, alla fine del 2021 questi 69 milioni di bambini vivevano in famiglie che guadagnavano meno del 60 per cento del reddito medio nazionale.Tra il 2014 e il 2021 l’Italia ha ridotto la percentuale di bambini che vivono in condizioni “di grave privazione materiale dal 15,8 per cento al 7,1” ma secondo il rapporto, “si tratta di progressi minimi verso l’eliminazione della povertà minorile”. C’è ancora tanto da fare per combattere questa miseria dilagante e dare prospettive degne di un Paese ricco, al di là di facili proclami e ottimistiche previsioni.

Fonti:

L’Unione Sarda, 09.12.2023

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