Il nodo della pace è sempre la Crimea

La minaccia della flotta russa

Due luoghi legati a guerre hanno determinato la storia della Russia zarista e quella di oggi sui quali nessun russo putiniano è disposto neppure a parlarne. Si chiamano Tsushima e Crimea. Il primo è uno stretto vicino all’omonima isola tra la Corea del Sud e il Giappone dove nel maggio del 1905 si combatté la battaglia decisiva del conflitto tra l’immenso impero russo e il piccolo impero nipponico. Nello scontro vennero distrutti due terzi della potente flotta zarista che dopo un anno e mezzo di una epica navigazione dal mar Baltico, circumnavigando l’Africa e attraversando tre Oceani, arrivò stremata nel mar del Giappone dove fu sbaragliata dagli avversari. Da allora, nella coscienza del popolo russo e poi sovietico, la parola “Tsushima” si è trasformata da nome proprio in nome comune di cosa, divenendo sinonimo di “sconfitta”, in particolare se vergognosa. Vergognosa per il fatto che una nazione piccola come era il Giappone fu in grado di affondare una flotta che per volere di Pietro il Grande aveva reso l’impero dominante su tutti i mari. Fatto sta che Tsushima determinò l’inizio della fine dell’impero zarista che nel giro di un decennio fu travolto dalla rivoluzione sovietica. 

Oggi un altro zar, seppure nominalmente presidente scelto dal popolo, si trova ad affrontare eventi che richiamano quella guerra russo-giapponese. Che Putin abbia il potere assoluto e si senta l’erede degli zar è ormai acclarato da 23 anni, quando fu eletto per la prima volta al vertice del Cremlino. Così come appare molto simile la sua decisione di ricreare una potente flotta per riaffermare la forte presenza su tutti i mari e in particolare nel Mediterraneo.

La guerra all’Ucraina ha messo a nudo i limiti delle forze terrestri dell’invasore che ormai si affida ai quotidiani attacchi di missili e droni lanciati da grandi distanze per fare terra bruciata. Molti lanci partono appunto dalle navi schierate davanti alle coste meridionali dell’Ucraina. La Crimea è l’altro nome impronunciabile per le sorti dell’attuale conflitto. Secondo gli analisti e gli strateghi militari non ci sarà mai una tregua e ancor più una pace se si dovesse mettere in discussione come condizione il futuro della penisola. Su questo punto sarà dura per Zelensky accettare una evidente realtà e cioé che Putin impedirà a tutti i costi una seconda vergognosa Tsushima nel Mediterraneo, anche con l’uso di armi sempre più devastanti.

Il territorio della Crimea appartiene de iure all’Ucraina, ma dopo l’occupazione da parte delle truppe russe che erano di stanza nella base di Sebastopoli, nel 2014, la penisola è stata annessa dalla Federazione Russa (come “Repubblica di Crimea”) a seguito del referendum sull’autodeterminazione della penisola, criticato e non riconosciuto da gran parte della comunità internazionale. Fu quello il primo evento della crisi russo-ucraina sfociata con le separazioni delle altre repubbliche autonome di Donetsk e Lugansk. L’importanza strategica della Crimea è evidente in questa visione di superpotenza navale perché in Mediterraneo la Russia ha solo una base a disposizione, a Tartus in Siria, ormai insufficiente per accogliere unità più grandi e numerose. Quindi la base di Sebastopoli appare fondamentale per il futuro geostrategico dei russi come porta del Mar Nero e base appoggio per la navigazione in tutto il Mare nostrum, comprese le coste italiane.  

Flotta russa in navigazione

La tensione si è impennata ulteriormente alla recente notizia che dalla base della flotta del Nord nel Mare di Barents è partita la fregata “Ammiraglio Gorshkov”, che ha in dotazione i temuti missili ipersonici Zirkon, capaci di annientare un’intera flottiglia di navi nemiche a centinaia di chilometri di distanza. La presenza di navi russe nel Mediterraneo non è una novità. Lo scorso giugno l’incrociatore russo Varyag, gemello dell’ormai celebre Movska affondato nel Mar Nero ad aprile, era stato avvistato a largo delle coste della Puglia. Sempre a giugno il capo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Enrico Credendino, aveva fatto presente che nel Mediterraneo erano presenti 18 navi militari russe, più due sommergibili. Un numero senz’altro importante, se consideriamo che nel 2016 soltanto una nave russa si aggirava nel Mare nostrum. 

La crescente presenza di navi russe dimostra che i venti di guerra possano soffiare minacciosi oltre i confini ucraini in qualsiasi momento. Mostrare i muscoli alzando la tensione nelle acque del Mediterraneo occidentale rientra nel braccio di ferro tra Washington e Mosca, ma è un chiaro monito anche per gli europei. E l’Italia, per posizione geografica e quale alleato Nato, si ritrova proprio al centro di questi pericolosi movimenti. 

Fonti:

L’Unione Sarda, 16.01.2023

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