L’uomo, la Luna e Chernobyl

Due eventi spartiacque nella storia dell'umanità

Mentre l’attenzione del mondo si è concentrata sulla celebrazione del mezzo secolo dallo sbarco sulla Luna, un’altra notizia ha richiamato alla memoria un episodio che ha segnato una svolta decisiva per l’umanità. Ai primi di luglio si è conclusa la miniserie televisiva dedicata all’esplosione del reattore numero 4 della centrale di Chernobyl, la notte del 26 aprile 1986, il primo e più grave incidente nucleare classificato come catastrofico nella scala “Ines”. Dopo Chernobyl c’è stato nel 2011 Fukushima in Giappone, che ha nuovamente tenuto il pianeta col fiato sospeso. La differenza tra i due disastri nucleari sta nel fatto che il primo fu causato da un errore umano con l’esplosione totale, mentre il secondo da un cataclisma naturale, uno tsunami, che portò ad una fusione parziale del nocciolo. La serie realizzata da Sky e Hbo ha registrato un’audience da record, apprezzata anche dalla critica che l’ha eletta come la migliore dell’anno. Ma si è tirata dietro molte polemiche con le accuse di inesattezze storiche e di aver creato un evento mediatico contro l’ex Urss e quindi la Russia di Putin. 

Lasciamo da parte polemiche e critiche, riflettiamo invece sul successo televisivo e sui social che ha avuto il film in cinque puntate perché ha riproposto alcuni temi di interesse globale quali l’utilizzo dell’energia nucleare, la sicurezza delle centrali atomiche, lo sviluppo delle tecnologie e le capacità dell’uomo di gestire e risolvere i problemi causati da un incidente. Ma soprattutto le possibili conseguenze sulla popolazione e sull’ambiente. Chernobyl per la prima volta, come detto, aprì gli occhi al mondo sui pericoli immensi del nucleare e spinse gran parte dei Paesi a rivedere le proprie strategie energetiche. Come sappiamo in Italia il dibattito politico e pubblico fu molto acceso, con tre referendum nel 1987 che portarono all’abbandono del “Progetto Unificato Nucleare” e alla chiusura delle tre centrali di Latina, Trino e Caorso. 

Un referendum regionale, seppure solo consultivo, fu promosso in Sardegna nel 2011 ed ebbe il risultato inequivocabile di dire un no totale all’installazione nell’Isola di centrali nucleari o di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive.

Chernobyl, come l’uomo sulla Luna nel 1969,  è una data spartiacque per l’umanità con un prima e con un dopo. Sino al giorno della catastrofe molti Paesi avevano puntato i piani energetici nazionali sul nucleare, indirizzando progetti ed enormi finanziamenti per la costruzione di centrali, ma senza troppe preoccupazioni per i rischi e l’inquinamento, pensando che le possibilità di incidenti fossero ridottissime e che comunque si sarebbero potuti superare. Come è andata a Chernobyl lo sappiamo. Poi l’11 marzo 2011 uno tsunami devastò Fukushima, mostrando l’infinita debolezza dell’uomo che era stato in grado di andare sulla Luna, ma impotente di fronte alla natura quando si scatena con tutte le sue forze. 

Oggi la regione di Chernobyl è praticamente disabitata e desertificata. A distanza di oltre trent’anni si vedono ancora le conseguenze. La centrale si trova in Ucraina, a 110 km dalla capitale Kiev, ma a soli 16 km dal confine con la piccola Bielorussia che finì per pagare i danni maggiori.

L’incidente avvenne nel corso di un test di sicurezza. Per una serie di fattori mai chiariti l’esperimento fallì e si verificò ciò che non si credeva possibile: l’esplosione del nocciolo del reattore che, scoperto, avrebbe poi sprigionato una quantità enorme e inedita di radiazioni letali. L’allarme fu dato solo 36 ore dopo, quando già in Svezia a 400 km di distanza, venivano riscontrati allarmanti radiazioni e quando cominciarono a circolare sui mezzi di comunicazione internazionali le immagini satellitari della centrale distrutta. Il reattore rilasciò per due settimane materiali e sostanze radioattive trasportate poi dal vento in diverse zone d’Europa e del globo, si stima quattro volte superiori di quelle della bomba di Hiroshima. Trecentomila persone furono evacuate a più riprese e un’area di 2600 km quadrati (circa 30 km in tutte le direzioni dalla centrale) è tutt’oggi isolata e contaminata per i prossimi 24 mila anni. I dati ufficiali sono fermi al 1987 e parlano solo di 37 vittime, ma stime delle Nazioni Unite svelano numeri terrificanti con almeno 4 mila morti in conseguenza delle radiazioni, diffusione dei tumori e malformazioni congenite per generazioni tra la popolazione ucraina e bielorussa.

Ciò che la serie Sky ha messo in evidenza, oltre a ricordaci la catastrofe, è il tentativo di manipolazione e oscuramento della verità, con l’incredibile ridimensionamento della realtà. Il film svela gli sforzi di una gigantesca macchina burocratica che si era messa in moto non per proteggere il benessere dei cittadini o la salute delle terre, ma solamente per nascondere i propri errori. Sotto questo aspetto Chernobyl è tristemente contemporanea tanto nella scala di omertà, incompetenze e decisioni sbagliate, quanto nel muro che era stato creato dal potere di Mosca per negare la verità. Cose che purtroppo continuano ad accadere in ogni angolo del mondo sconvolto da guerre e crisi umanitarie, come se la lezione di Chernobyl non avesse insegnato niente.

Fonti:

L’Unione Sarda, 27.07.2019

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