Leggiamo su queste pagine notizie contrastanti, ma che sono le facce della stessa medaglia. Per la prima volta nell’ultra decennale storia del Forte Village, la più importante struttura alberghiera della costa meridionale, il manager ha avuto difficoltà per reclutare personale stagionale tra i sardi. Ad Arzachena il titolare di un bar del centro ha deciso di chiudere il locale perché non poteva garantire un servizio adeguato trasferendo l’attività a Cannigione. Nelle cronache di tutte le province spuntano notizie simili. Chiuso per mancanza di personale. La stagione turistica in agosto è arrivata al massimo delle presenze, ma la Sardegna si è ritrovata spiazzata dalla carenza di lavoratori dove oggi ci sarebbe una pressante necessità. Dopo lo stop causato dalla pandemia, il ritorno dei turisti ha innescato la richiesta delle aziende per camerieri, baristi, cuochi, assistenti ai servizi alberghieri, bagnini, etc.
Da una parte si evidenzia la carenza di personale, dall’altra invece i sindacati annunciano una forte crescita delle assunzioni, rilevando tuttavia l’aumento della precarietà. Di fronte all’incertezza generata dalla nuova ondata di contagi, le aziende attivano contratti di lavoro a tempo determinato più brevi. In epoca pre-Covid erano 3-4 mesi, oggi sono al massimo 30 giorni.
Insomma, il turismo è ripartito anche con un buon trend in Sardegna, nonostante le polemiche per il green pass e i problemi per i vaccini. Ma la ripresa economica e le ricadute sul lavoro sono ancora da valutare. Come le cause di questo inedito fenomeno, attribuito al reddito di cittadinanza e a contratti poco appetibili. Lasciamo gli aspetti tecnici all’analisi degli economisti, osserviamo qui quanto vediamo di persona.
Si pensa che il lavoro stagionale sia una valvola di salvezza per disoccupati cronici, per giovani a caccia di un posto certo, per studenti che cercano di arrotondare, per chi ha perso il lavoro e, in attesa di meglio, si arrangia come può. Mentre per i titolari degli esercizi gli stagionali sono una necessità, senza dover dare garanzie per il futuro e puntando a spendere il meno possibile con i contratti part time (quando poi il lavoro richiede orari ben più pesanti).
Così turisti e clienti si ritrovano serviti da un esercito di dilettanti allo sbaraglio, pieni di buona volontà (vogliamo sperare), ma con scarsa o zero professionalità. Camerieri, baristi, cuochi, si diventa come per tutti i mestieri con la pratica e l’insegnamento. Si pretende cortesia e qualità di empatia per rispondere garbatamente a chi vuole godersi un aperitivo o la cena di una vacanza. Cosa accade, invece, sottolineando ovviamente che ci sono positive eccezioni?
Al Poetto alle 20 niente più aperitivi perché i tavoli sono tutti prenotati per la cena e se, per caso, un buco si riesce a trovare c’è l’avviso di sloggiare entro mezzora. Camerieri nel pallone, con una faccia dove il sorriso non è previsto dal contratto, che ti trattano come se fossi un disturbatore. E poi conquistato il tavolo una sorpresa: si paga subito per ogni ordine. Dall’acqua al dessert, scontrino pronta cassa. Quindi due scenari per cenare: lunga attesa se il vostro ordine è stato dimenticato, oppure un via vai vorticoso di piatti sbagliati a raffica. Un giovane trentenne, che sembra l’unico mestierante, si giustifica dando la colpa a quei poveri ragazzi assunti da un solo giorno, poi è il primo a sbagliare le comande sullo “smart” che non tutti riescono ad usare. E guai se gli fate osservare che siete qui per godervi il panorama del Poetto in serenità e che invece state pagando per essere trattati male. La risposta, sentita tante volte e non solo al Poetto, non stupisce più: se non vi va bene andate da un’altra parte. A Cagliari come in altre località turistiche dove il cameriere confessa candidamente che non è un problema perdere un turista, perché domani ne arriveranno di nuovi. Il turn over dei clienti come assicurazione del flop della serata.
Inutile spiegargli che a Rimini o in Puglia la gente va nello stesso luogo da vent’anni, che il sorriso è d’obbligo e che i ristoratori si fanno in quattro per accontentare l’ospite. A questo punto è solo una questione culturale, di cultura dell’accoglienza che non fa parte del bagaglio degli stagionali, tanto meno dei loro stipendi. È qualcosa che si costruisce nel tempo, da generazioni, pensando che il turista è sacro anche se non dovesse più tornare perché si porterà a casa e nei suoi ricordi le immagini della nostra terra.