Le guerre dimenticate

I massacri silenziosi: dallo Yemen all'Africa

Secondo l’Oms (organizzazione mondiale della sanità) non è pensabile la fine della pandemia entro l’anno. Anzi, prevede che il Covid-19 continuerà a fare vittime nel 2022 colpendo soprattutto nei paesi più poveri del Terzo Mondo dove i vaccini chissà quando e se mai arriveranno. Quindi il Covid-19 sarà ancora a lungo il peggior nemico dell’umanità in una guerra su scala planetaria. Due milioni e mezzo di vittime del virus, sinora “censiti” dall’Oms, distraggono l’attenzione sulle guerre in atto nel globo che ogni giorno contano innumerevoli morti causati da attacchi, attentati, bombardamenti. Tra guerre convenzionali combattute apertamente in Libia, Siria, Afghanistan, e i cosiddetti conflitti a “bassa intensità” nei quali gruppi etnici, tribali e religiosi si massacrano a vicenda per la conquista del potere, con un limitato schieramento di truppe regolari e un gran numero di guerriglieri. Vittime indifese le popolazioni civili, le donne e i bambini, cacciati dai villaggi e dalle città distrutte, condannati alla fame, alla povertà assoluta, alla migrazione nei deserti o ad una pura sopravvivenza nei campi profughi. 

Papa Francesco incontra l’ayatollah Al-Sistani capo spirituale degli sciiti durante il viaggio in Iraq.

Dimenticate dai media (se non specialistici) che pubblicano qualche notizia solo quando certi episodi colpiscono l’opinione pubblica occidentale o in qualche modo ci toccano da vicino (come per l’uccisione dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio in Congo), queste guerre sono la catastrofe nascosta del terzo millennio quando si pensava che i nuovi governi nati con le “primavere arabe” e le cadute dei vecchi dittatori, avrebbero aperto nuovi orizzonti per un futuro di pace e condizioni di vita più umane. 

Purtroppo così non è ed anzi il mondo sembra impazzito in un caos bellico planetario. Ai conflitti in pieno corso si sommano le quotidiane o settimanali manifestazioni di protesta di popoli che rivendicano libertà e democrazia, come in Bielorussia contro il presidente Lukashenko o in Myanmar contro i generali golpisti. Ad ogni corteo i regimi rispondono con spietate repressioni, arresti e morti, mettendo a tacere opposizioni e giornalisti. 

Nell’Angelus di Capodanno, per la Giornata della pace, era stato proprio il Papa a dedicare parole di dolore e accorati appelli per questi paesi straziati dalle guerre citandoli uno ad uno. Dall’Africa al Sud America (nessuno più parla dell’immane tragedia del Venezuela), dal Medio Oriente al Myanmar dove, ancor prima del golpe di febbraio, era in atto lo sterminio della minoranza musulmana dei Rohingya. E poi la preoccupazione per Libia e Yemen, in cui continuano ad aver luogo conflitti sanguinosissimi e un’instabilità politica che va a condizionare anche il grande flusso migratorio verso i paesi europei. 

Il viaggio di Francesco appena concluso in Iraq non è giunto dunque inaspettato, ma è stato un evento di grande valore politico per richiamare l’attenzione su questo Medio Oriente in fiamme. A quasi vent’anni dalla caduta di Saddam e dall’avvio delle missioni internazionali, la guerra non è mai finita. L’incontro con l’Iraq, oltre l’aspetto religioso, non può essere raccontato senza parlare dei suoi vicini, come la Siria, l’Iran e la Turchia. Un’intera regione in cui ogni tassello è legato all’altro. 

Il fallimento politico dell’Iraq del dopo Saddam può essere spiegato solo nel quadro generale del confronto tra popolazione sunnita (qui minoranza col 35 per cento dei fedeli) e sciita che domina gran parte del paese. E sciita è il potente Iran che, a parte i problemi con gli americani per gli accordi sul nucleare, è presente direttamente o con aiuti militari in tutti i conflitti dell’area: Siria, Libano e Yemen.

Proprio nello Yemen – come ha ricordato Papa Francesco dall’Iraq – divampa il conflitto più sanguinoso e dimenticato, che non trova mai spazio nei media. La guerra che infuria nel Golfo di Aden è descritta dalle Nazioni Unite come “il peggior disastro umanitario causato dall’uomo”. Quasi sei anni di scontri hanno costretto più di 4,3 milioni di persone, tra cui più di due milioni di bambini, a lasciare le loro case, e l’Onu stima che l’80 per cento della popolazione – 24,3 milioni di persone – viva di aiuti internazionali. Anche lì è in atto un confronto tra musulmani sciiti della minoranza Houti (appoggiati da Teheran) che nel 2014 ha preso il potere della capitale Saana e di gran parte del paese, e i sunniti sostenuti apertamente dall’Arabia saudita e dagli Emirati Arabi che continuano i bombardamenti. Nessun osservatore occidentale e ancor più i membri dell’Onu, riescono a vedere una soluzione con il paese in balìa delle armi e della pandemia dilagante.

(Nella foto di copertina bambini yemeniti sulle macerie della città di Saama distrutta dai bombardamenti).

Fonti:

L’Unione Sarda, 13.03.2021

Copyright©2018 www.CarloFigari.it - Privacy Policy - Cookie Policy