Festa senza revisionismi

Il significato del 25 aprile 1945

Il 25 aprile è la festa che celebra la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e la fine del regime fascista. Una ricorrenza fondamentale per la storia del Paese che assume un particolare significato politico e militare in quanto simbolo della vittoriosa lotta delle truppe alleate, delle forze armate italiane che si erano rivoltate contro i nazifascisti e dei partigiani che combatterono ciascuno con i propri ideali  e un unico obiettivo: liberare l’Italia. Per questo il 25 aprile è anche la festa della Resistenza, che ogni anno suscita polemiche e discussioni storiche continuando ad essere divisiva anziché un’occasione di condivisione e coesione, come non si stanca mai di ripetere il presidente Sergio Mattarella.  

Uno dei pericoli più incalzanti è la banalizzazione progressiva del fascismo fatta negli ultimi decenni da politici e da alcuni storici che punta all’azzeramento della storia e all’indebolimento del suo giudizio. Il filosofo Norberto Bobbio aveva avvertito che l’ansia di equiparazione tra antifascismo e anticomunismo avrebbe portato all’assurda equivalenza tra fascismo e anticomunismo, non col negazionismo che ovviamente solo pochi folli possono pensare di propagandare, ma con il relativismo riduzionistico che neutralizza il “ventennio” in un vizio italiano. Ecco – come scrive Ezio Mauro –  il ripetersi instancabile di una “certa destra” che vuol far passare il fascismo liofilizzato, disincarnato e costruttivo che ha saputo fare cose positive, con i paradossi di ricostruire la figura di Mussolini come il dittatore buono che ha sbagliato solo nel seguire il cattivo Hitler e con le sue idee visionarie ha portato l’Italia alla catastrofe della guerra. Altrimenti sarebbe stata un’altra storia – sostiene questo crescente filone di revisionisti – dimenticando le infami leggi razziali del 1938 e una dittatura che ha distrutto con la forza qualsiasi opposizione.  

Col fine di conservare le testimonianze di chi visse quei fatti è stato inaugurato la settimana scorsa  il “Memoriale virtuale della Resistenza italiana”, un lavoro imponente sul web curato da Gad Lerner e Laura Gnocchi, che raccoglie le voci degli ultimi partigiani, uomini e donne, di ogni colore politico. Sull’esempio della Shoah Foundation con sede a Los Angeles, fondata nel 1994 e finanziata dal regista Steven Spielberg, che custodisce oltre 50 mila testimonianze di ebrei sopravvissuti all’Olocausto. Grazie alle tecnologie multimediali anche così si tramanda la verità storica alle future generazioni, contro le mistificazioni e il negazionismo.   

Secondo gli studi più recenti, i sardi che parteciparono alla Resistenza furono tra 6500 e 7000. Molti combattenti sardi nella lotta per la libertà sono stati insigniti di medaglie al valore militare: 8 d’oro, 34 d’argento, 34 di bronzo. 

Le ricerche degli storici e il lavoro delle varie “associazioni partigiani” con raccolta di documenti, pubblicazione di libri e partecipazione ad eventi, fanno sì che si ricostruisca una memoria della Resistenza che non tiene fuori i sardi perché non ci fu una vera lotta armata in quanto i tedeschi lasciarono l’Isola rapidamente e senza scontri (a parte qualche noto episodio a Oristano, Macomer e La Maddalena) in seguito agli accordi tra il generale Antonio Basso e il comando tedesco.

Sardi erano il giovane studente cagliaritano Silvio Serra e il compagno Francesco Curreli che parteciparono all’attentato di via Rasella a Roma lanciando bombe. E nove furono i sardi vittime della feroce rappresaglia  che ne seguì, compiuta alla Fosse Ardeatine. Cinque civili e quattro militari che si trovavano rinchiusi nel carcere di Regina Coeli perché accusati di far parte della Resistenza romana. 

Non possiamo non ricordare tra i tanti, il coraggio dei finanzieri Salvatore Corrias, di San Nicolò Gerrei, fucilato dalla Brigate Nere e Giovanni Gavino Tolis di Chiaramonti, medaglia d’oro al merito civile, che morirà nel lager di Mauthausen: operavano lungo il confine svizzero e aiutarono centinaia di antifascisti ed ebrei a passare il confine. Corrias viene ricordato in Israele, con un albero piantato nel “Giardino dei giusti”, presso il museo Yad Vashem di Gerusalemme, che nella tradizione ebraica indica il desiderio di ricordo eterno. Tra 20 mila giusti che aiutarono gli ebrei a salvarsi dall’Olocausto, gli italiani sono circa 400. Il 25 aprile è anche la loro festa.   

                                                 

Fonti:

L’Unione Sarda, 24.04.2021

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