Una mina si aggira per l’Europa

L'Ungheria di Orban e l'Ue

L’Ungheria al centro dell’Europa non nel senso geografico, sempre strategicamente importante, ma perché attorno al piccolo Paese di meno di dieci milioni di abitanti si è scatenata una forte bufera politica e mediatica. Interna per le clamorose dimissioni della presidente Katalin Novák ed internazionale legata alla vicenda dell’attivista italiana Ilaria Salis che ha riaperto le polemiche sulle posizioni sovraniste e di ultradestra del governo Orbán, pervicacemente contrario alle scelte di Bruxelles. Il suo assenso per l’ultimo programma di aiuti all’Ucraina è giunto solo dopo uno snervante braccio di ferro quando si è profilato il rischio – per Budapest – di vedersi tagliare i finanziamenti europei mentre comunque si sarebbe votato a favore di Kiev per la prima volta senza l’unanimità prevista nello statuto comunitario. Dichiaratamente amico di Giorgia Meloni, ricambiato con altrettanta simpatia dalla nostra premier, si è ritrovato in primo piano anche nel dibattito politico italiano. Certo, ciò che sta accadendo sulle sponde del Danubio non favorisce la premier nel momento in cui cerca di prendere le distanze, senza però rinnegare definitivamente, quella parte del suo elettorato che affolla le manifestazioni di neofascisti. E ancor meno il legame con il forzuto Orbán, grande sostenitore di Putin, la aiuta nella sua ascesa atlantista che vuol porre l’Italia come migliore amica degli Usa e vicina all’Ucraina di Zelensky.

L’Ungheria al centro dell’Europa non nel senso geografico, sempre strategicamente importante, ma perché attorno al piccolo Paese di meno di dieci milioni di abitanti si è scatenata una forte bufera politica e mediatica. Interna per le clamorose dimissioni della presidente Katalin Novák ed internazionale legata alla vicenda dell’attivista italiana Ilaria Salis che ha riaperto le polemiche sulle posizioni sovraniste e di ultradestra del governo Orbán, pervicacemente contrario alle scelte di Bruxelles. Il suo assenso per l’ultimo programma di aiuti all’Ucraina è giunto solo dopo uno snervante braccio di ferro quando si è profilato il rischio – per Budapest – di vedersi tagliare i finanziamenti europei mentre comunque si sarebbe votato a favore di Kiev per la prima volta senza l’unanimità prevista nello statuto comunitario. Dichiaratamente amico di Giorgia Meloni, ricambiato con altrettanta simpatia dalla nostra premier, si è ritrovato in primo piano anche nel dibattito politico italiano. Certo, ciò che sta accadendo sulle sponde del Danubio non favorisce la premier nel momento in cui cerca di prendere le distanze, senza però rinnegare definitivamente, quella parte del suo elettorato che affolla le manifestazioni di neofascisti. E ancor meno il legame con il forzuto Orbán, grande sostenitore di Putin, la aiuta nella sua ascesa atlantista che vuol porre l’Italia come migliore amica degli Usa e vicina all’Ucraina di Zelensky.

Il puzzle magiaro si fa sempre più complicato. A cominciare dalle improvvise dimissioni da capo dello stato di Katalin Novák, in seguito alle proteste dopo che la presidente aveva concesso la grazia a un dirigente penitenziario condannato come complice in un caso di abusi sessuali su minori. Un errore – come ha ammesso – ancor più grave se si pensa che era stata ministra della famiglia.

Ilaria Salis in manette in udienza dal giudice

C’è poi il caso di Ilaria Salis, da oltre nove mesi in un carcere di Budapest sotto accusa per un reato che in Ungheria prevede una pena sino a undici anni. Hanno suscitato indignazione le condizioni disumane in cui è detenuta e le difficoltà per la difesa riguardo alla traduzione dei verbali. Ci sono due problemi da mettere in evidenza. Il primo, su cui hanno fatto perno gli esponenti della destra italiana e anche personaggi che per il loro ruolo istituzionale avrebbero dovuto astenersi da dichiarazioni simili, riguarda la giovane attivista. Senza dubbio poteva evitare di andarsene in vacanza in Ungheria ad aggredire con i suoi amici due esponenti di estrema destra. Sul merito saranno i giudici a valutare, mentre Ilaria dichiara la sua innocenza. Sull’episodio bisogna dire che molti italiani non vogliono capire che all’estero certe cose che in Italia passano come bravate, sono invece considerate delitti gravi in altre nazioni, con tutti i rischi giudiziari e detentivi possibili. 

Il secondo problema è che nel 2024 non può essere consentito ad un Paese aderente all’Ue di trattare in quelle condizioni un detenuto non solo di uno stato comunitario, ma di qualsiasi nazionalità. Se Orbán non ha intenzione di accettare gli standard di giustizia e democrazia europei è giusto che tolga il disturbo. 

L’Ungheria è una nazione importante per l’occidente, cuore della cultura mitteleuropea, che ha vissuto sotto l’Urss un regime comunista durissimo, ma che con la rivolta di Budapest del 1956 aveva saputo dare un immenso esempio di coraggio in nome dei diritti umani e politici dei cittadini. Quella gloriosa pagina costò 2700 vittime ungheresi travolte dai carri armati dell’Armata Rossa e segnò il primo passo verso le “primavere dell’Est” che portarono alla caduta dell’impero sovietico. Ma oggi i figli e più probabile i nipoti di quegli eroici rivoltosi votano al 53 per cento per Orbán e il suo partito Fidesz in un Paese dove il comunismo è stato sostituito da una “democrazia illiberale”. Formula coniata da Orbán per giustificare ogni iniziativa autoritaria. Lecito, dunque, chiedersi come l’Ue possa restare in ostaggio di un Paese che non accetta le regole e i princìpi dell’Europa democratica e tiene sotto costante ricatto la politica di Bruxelles.

Il puzzle magiaro si fa sempre più complicato. A cominciare dalle improvvise dimissioni da capo dello stato di Katalin Novák, in seguito alle proteste dopo che la presidente aveva concesso la grazia a un dirigente penitenziario condannato come complice in un caso di abusi sessuali su minori. Un errore – come ha ammesso – ancor più grave se si pensa che era stata ministra della famiglia.

C’è poi il caso di Ilaria Salis, da oltre nove mesi in un carcere di Budapest sotto accusa per un reato che in Ungheria prevede una pena sino a undici anni. Hanno suscitato indignazione le condizioni disumane in cui è detenuta e le difficoltà per la difesa riguardo alla traduzione dei verbali. Ci sono due problemi da mettere in evidenza. Il primo, su cui hanno fatto perno gli esponenti della destra italiana e anche personaggi che per il loro ruolo istituzionale avrebbero dovuto astenersi da dichiarazioni simili, riguarda la giovane attivista. Senza dubbio poteva evitare di andarsene in vacanza in Ungheria ad aggredire con i suoi amici due esponenti di estrema destra. Sul merito saranno i giudici a valutare, mentre Ilaria dichiara la sua innocenza. Sull’episodio bisogna dire che molti italiani non vogliono capire che all’estero certe cose che in Italia passano come bravate, sono invece considerate delitti gravi in altre nazioni, con tutti i rischi giudiziari e detentivi possibili. 

Il secondo problema è che nel 2024 non può essere consentito ad un Paese aderente all’Ue di trattare in quelle condizioni un detenuto non solo di uno stato comunitario, ma di qualsiasi nazionalità. Se Orbán non ha intenzione di accettare gli standard di giustizia e democrazia europei è giusto che tolga il disturbo. 

L’Ungheria è una nazione importante per l’occidente, cuore della cultura mitteleuropea, che ha vissuto sotto l’Urss un regime comunista durissimo, ma che con la rivolta di Budapest del 1956 aveva saputo dare un immenso esempio di coraggio in nome dei diritti umani e politici dei cittadini. Quella gloriosa pagina costò 2700 vittime ungheresi travolte dai carri armati dell’Armata Rossa e segnò il primo passo verso le “primavere dell’Est” che portarono alla caduta dell’impero sovietico. Ma oggi i figli e più probabile i nipoti di quegli eroici rivoltosi votano al 53 per cento per Orbán e il suo partito Fidesz in un Paese dove il comunismo è stato sostituito da una “democrazia illiberale”. Formula coniata da Orbán per giustificare ogni iniziativa autoritaria. Lecito, dunque, chiedersi come l’Ue possa restare in ostaggio di un Paese che non accetta le regole e i princìpi dell’Europa democratica e tiene sotto costante ricatto la politica di Bruxelles.

Fonti:

L’Unione Sarda, 11.02.2024

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