Shoah, il dovere di non dimenticare

La Giornata della Memoria

Il presidente Sergio Mattarella ha nominato senatrice a vita Liliana Segre, superstite di Auschwitz dove fu deportata con la famiglia nel 1944. Aveva tredici anni e si salvò per miracolo. Dei 6800 israeliti italiani finiti nei lager nazisti dopo l’8 settembre del 1943 ritornarono solo 837. I bambini erano appena 121, la maggior parte fu “eliminata” all’ingresso nei campi di sterminio. Ebrea di Milano, Liliana Segre al rientro si ricostruì una vita e non volle mai parlare della sua tragedia sino agli anni Novanta. Una scelta condivisa da molti sopravvissuti che preferirono tenere per sé l’orrore e gli incubi del ricordo.

Raccontare l’indicibile non è facile per l’enormità dell’Olocausto, il timore di non essere creduti o il disinteresse per una storia che si voleva dimenticare o persino nascondere. Motivi politici negli anni Cinquanta, nel clima della guerra fredda con i tedeschi che erano diventati alleati contro il pericolo comunista. Motivi storici per non rivangare il passato fascista quando il regime promulgò le leggi razziali (con il placet del re Vittorio Emanuele III che qualcuno vorrebbe tumulare al Pantheon). Motivi individuali che vedono contrapposti da una parte i sopravvissuti e dall’altra chi, in qualche modo, fu responsabile e partecipe degli arresti e delle deportazioni. Dai militi fascisti ai vicini di casa che denunciarono gli ebrei o chiusero gli occhi.

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Così al ritorno dai lager molti, come Liliana Segre, scelsero il silenzio lasciando agli scrittori il compito di raccontare e ricordare la Shoah, a cui i libri di scuola dedicavano poche righe nel capitolo sulla Seconda guerra mondiale. Solo dopo il processo Eichmann (l’organizzatore delle deportazioni) svoltosi a Gerusalemme nel 1961, si cominciò a parlare dell’Olocausto nel mondo e anche gli italiani iniziarono a prendere coscienza di una storia che si doveva documentare e far conoscere, soprattutto ai giovani. Per non dimenticare e perché non accadesse più, come si ripete ad ogni occasione, di fronte alle farneticazioni dei negazionisti e al diffondersi dei movimenti neonazisti.

Grazie al “Diario” di Anna Frank, ai libri di Primo Levi (“Se questo è un uomo”), del Nobel Elie Wiesel, di Aharon Appelfeld (morto lo scorso 3 gennaio) e di altri famosi autori abbiamo scoperto l’orrore del genocidio pianificato messo in atto dai nazisti nel secolo scorso. Attraverso la letteratura, il cinema, i documentari televisivi, si è iniziato a parlarne nelle scuole e nelle università.

Negli ultimi decenni, ormai anziani e oggi ultra ottantenni come Liliana Segre (87), i sopravvissuti hanno deciso di aprire il doloroso scrigno della memoria e di raccontare la loro testimonianza, parlandone in famiglia con i figli quasi sempre ignari del passato dei loro genitori, quindi partecipando ad eventi pubblici ed incontri con gli studenti. Prima che fosse troppo tardi per questioni anagrafiche.

Il 27 gennaio, anniversario della liberazione di Auschwitz, si celebrerà in tutte le scuole la Giornata della Memoria, così come dettato dalla legge 211 del 2000. Quest’anno ricorre inoltre l’anniversario degli 80 anni dalla promulgazione delle Leggi razziali emanate nell’estate del 1938 da Mussolini. Sarà l’occasione per parlare non solo delle deportazioni, ma di un’infamia legislativa indegna per un Paese come l’Italia. Gli ebrei furono emarginati ed esclusi dalla vita civile, italiani senza più alcun diritto, senza poter lavorare o studiare.

A un convegno svoltosi a Ferrara, in onore del grande scrittore ebreo Giorgio Bassani, mi capitò di sentire il novantenne Cesare Finzi ricordare l’episodio dell’esame di maturità classica quando lui e una compagnetta furono messi nei banchi separati dagli altri. Una giovane insegnante gli chiese ingenuamente perché si fosse seduto lì. Le rispose che glielo aveva ordinato il preside, forse perché erano ebrei. <Lei ci guardò bene, come se fossimo malati, e rimase sorpresa di vederci uguali agli altri. Alla fine disse stupita: pensavo che voi ebrei aveste la coda>>. Era una docente.

Fonti:

L’Unione Sarda, 27.01.2018

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