Tra gli effetti della guerra in Siria emergono i nuovi equilibri geopolitici in Europa. Le crescenti tensioni di questi giorni tra Stati Uniti e Russia non fanno che complicare un quadro sempre più fragile in cui si prefigurano grandi cambiamenti nelle relazioni tra i Paesi dell’Ue e della Nato. Dopo la Brexit, i britannici puntano ad un asse diretto con Washington in campo militare come dimostra l’ultimo attacco sferrato alla Siria. E Macron sembra volersi accodare per ritagliare un nuovo ruolo alla Francia, ricreando quella alleanza a tre che portò al blitz in Libia e alla caduta di Gheddafi. Con tutte le conseguenze che oggi conosciamo.
A complicare l’attuale crisi di identità della Nato è soprattutto la pericolosa ambiguità di Erdogan che, avvicinatosi a Mosca anche nel settore degli armamenti, pone la Turchia ai margini del sistema difensivo occidentale. Come fa un membro importante della Nato ad acquistare sistemi missilistici russi e a schierarsi apertamente sulle posizioni di Putin riguardo alla gestione del conflitto in Siria e nel contempo ad operare con gli alleati guidati dagli Usa? Politicamente imbarazzante per non dire strategicamente inconciliabile.
Erdogan sta portando avanti la sua linea personale, da una parte prendendo i miliardi di euro dalla Ue per bloccare i flussi dei migranti e dall’altra andando a braccetto con Putin per gestire il controllo del Mediterraneo orientale. Sin dove vuole arrivare il leader turco, nel suo sfacciato doppiogiochismo, è difficile prevedere. Certo, complica assai i progetti di riorganizzazione politico-militare della Nato a cui Trump non garantisce più gli ingenti finanziamenti americani chiedendo invece un maggior contributo ai singoli Paesi alleati. Tra i quali l’Italia chiamata sempre più a svolgere un compito importante nell’ambito degli scenari del Mediterraneo e nelle missioni di pace.
Ma il panorama europeo è ben più complesso alla luce dei mutamenti politici in atto in molti dei 24 Paesi dell’Ue che devono far riflettere sul futuro dell’Unione e della Nato. Intanto il Gruppo di Viségrad (cioè l’alleanza informale di cooperazione che all’interno dell’Ue e della Nato unisce Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) si è allargato diventando un’intesa istituzionale e pragmatica tra dodici Paesi.
Il nuovo blocco nell’ambito europeo si chiama “Trimarium” ed è costituito da alcuni ex Paesi satelliti di Mosca all’epoca dell’Unione Sovietica, da ex repubbliche jugoslave e uno (l’Austria) neutrale dalla sua rinascita nel dopoguerra. Costituito nel 2016 ora comincia a funzionare: nello scorso luglio i suoi leader si sono incontrati a Breslavia, in Repubblica Ceca. L’accordo prevede ambiziosi progetti di infrastrutture per realizzare ferrovie, autostrade, vie d’acqua, gasdotti, oleodotti e altre connessioni energetiche, che migliorino i collegamenti lungo un asse comunitario nord-sud, affrancandosi dall’incubo dell’egemonia di Mosca e della stessa Germania.
“Trimarium”, dunque, nasce come un’intesa economica che mira ad unire direttamente gli Stati che si affacciano sui tre mari: il Baltico, l’Adriatico e il Mar Nero. Oltre ai quattro di Viségrad, sono membri Estonia, Lettonia, Lituania, Austria, Slovenia, Croazia, Bulgaria, Romania. Se guardiamo la cartina geografica è facile vedere come si tratti di una striscia di territori che separa esattamente in due l’attuale Ue e si frappone tra l’Europa occidentale e la Russia.
Se “Trimarium” mirasse veramente soltanto allo sviluppo economico degli aderenti perché non sono state invitate anche Grecia e Albania? I sospetti che le motivazioni economiche siano una copertura per un disegno strategico di valenza militare sono più che giustificate. Manovre militari separate, ubicazione di basi missilistiche e aeree in chiave anti russa, il ruolo emergente della Polonia che si propone alla leadership di questi Paesi dell’Europa centrale, presuppongono una nuova politica e una ristrutturazione della Nato. In attesa di capire il futuro dell’Ucraina, il “gigante” posto in mezzo con cui tutti dovranno fare i conti.