Le vittime sarde nelle foibe

Uno studio della blogger Silvia Seu
Dal sito Tre Passi Avanti - Gennaio 2021

Dal 2004, con la legge 94, il Parlamento ha istituito “il Giorno del ricordo” che si celebra ogni anno il 10 febbraio (ricorrenza del Trattato di Parigi, 1947). Occasione per rievocare in tutta Italia  l’esodo di 350 mila  giuliani e la tragedia delle foibe. Anche in Sardegna, soprattutto nelle scuole, da allora si rievoca una pagina di storia a lungo dimenticata per motivo di politica interna ed estera. Dal 1945 alla fine degli anni Ottanta il clima della “guerra fredda” e la divisione in blocchi dell’Europa aveva congelato argomenti scottanti, quali i crimini di guerra e le atrocità anche contro la popolazione civile, che potessero compromettere gli equilibri geostrategici dell’epoca. In particolare la tragedia delle foibe era un tabù per il Partito comunista italiano che aveva appoggiato i partigiani Titini autori dei massacri.

 

Si scava in una foiba per riesumare i resti delle vittime

Crollato il muro di Berlino e aperta la “cortina di ferro” ad Est, con la fine dell’Urss erano caduti molti veti e silenzi che sino ad allora avevano coperto misteri e segreti del passato, impedendo inchieste e processi, riabilitazioni di persone imprigionate, condannate e uccise ingiustamente. Ma soprattutto si erano aperti i dossier sulla storia taciuta o negata, cioè quelle tragedie che portarono ad eccidi e ad esodi di massa come l’esilio di 350 mila profughi giuliano dalmati. In questo contesto si inserisce la “tragedia delle foibe”, una pagina di storia nazionale lasciata, per decenni, volutamente nell’oblìo.

Nei primi anni Novanta, il tema delle foibe tornò a riscuotere l’interesse dei politici e dei mass media. Anche su iniziativa degli ex comunisti, si pose l’attenzione su questi episodi, che iniziarono a essere ufficialmente ricordati. Il Pci, vicino alla politica del presidente jugoslavo Tito, si era sempre opposto in tutti i modi affinché non si parlasse della questione delle foibe. Ma dopo la fine del medesimo partito che cambiò nome e politica, finalmente cadde anche questo pesantissimo tabù che continuava a dividere gli italiani lasciando profonde ferite sia tra i profughi, i loro figli e nipoti, sia nelle regioni adriatiche dell’altra sponda dove si trovavano le tracce di quegli orrendi crimini.

A mio personale ricordo tra gli anni Settanta e Novanta nelle stesse università non si parlava mai di foibe e degli eccidi dei comunisti slavi, poche tracce nei manuali e pochi libri in circolazione. Il motivo vero è che la maggior parte dei docenti e studiosi di storia contemporanea (come nella mia università) avevano una forte caratterizzazione comunista e per loro parlare di foibe o assegnare una tesi di laurea era quasi impensabile: non restava che il silenzio o il giustificazionismo.

Luciano Violante

Così mentre i giornali di centrodestra cominciavano a parlare delle foibe, si aprì il dibattito politico sulla stampa e a tutti i livelli nazionali e locali. Per quei casi ironici della storia fu proprio un comunista, l’ex magistrato Luciano Violante all’epoca presidente della Camera dei deputati, con un discorso ufficiale a rompere ufficialmente il silenzio.

Con una presa di posizione netta, e destinata ancora una volta a suscitare discussioni difficili nella sinistra e soprattutto nel Pds (erede del Pci) dove stava provocando dissensi e tensioni, il 26 agosto 1996 durante il  tradizionale stage di formazione politica organizzato a Filaga, in provincia di Palermo, da padre Pintacuda, intervenne nella polemica sulle stragi di italiani che in Istria e in Venezia Giulia accompagnarono e seguirono la Liberazione.

Si schierò senza riserve per il riconoscimento delle atrocità perpetrate dai partigiani sloveni e croati (e implicitamente contro la congiura del silenzio che per decenni ha vincolato in particolare il Pci), lungo un filo di ragionamento che il presidente della Camera stava sviluppando da tempo. Convinto, come era, della necessità che gli italiani, alla fine del Novecento e di fronte alla predicazione secessionista dei leghisti, sapessero ritrovare una memoria comune, un senso collettivo della propria storia, del proprio essere nazione. Da quel momento il tema delle foibe viene “sdoganato” definitivamente sui media e nel dibattito politico.

In Sardegna sino ad allora l’argomento raramente era stato toccato e non ricordo articoli sui giornali regionali. Sino a quando, sulla scia delle testimonianze che cominciavano a venire fuori anche nella nostra isola, ho iniziato ad occuparmi sull‘Unione Sarda pubblicando per la prima volta un elenco di nomi e una serie di testimonianze. Da quelle pagine sono seguite numerose iniziative culturali, storiche e politiche culminate con l’intitolazione a Cagliari di una piazza dedicata ai “Martiri delle foibe” con una targa commemorativa (nella foto a destra). 

Allego qui a fianco i pdf di una scheda bibliografia dei miei articoli usciti sull’Unione Sarda e da cui sono scaturite poi le altre ricerche. Inoltre, pubblico anche due file con gli elenchi usciti nel 2003.

Dopo l’iniziativa giornalistica, negli istituti di storia dell’ateneo cagliaritano (non so a Sassari) sono comparse anche le prime tesi di laurea.

I minatori del Sulcis

In questo sito figurano altri post con le pagine e gli articoli pubblicati. Una doverosa citazione va allo studioso di Carbonia Mauro Pistis, ricercatore di storia locale, presidente dell’associazione culturale Sa Lantìa, che da oltre vent’anni promuove iniziative e anche gemellaggi con i paesi dell’Istria dove furono mandati a lavorare durante la guerra molti minatori del Sulcis, numerosi uccisi dai comunisti slavi nelle foibe.

Minatori di Carbonia lavorarono nelle miniere di Arsia in Istria

Spesso Pistis si è recato ad Arsia, un comune croato di 3 mila abitanti dell’Istria sud-orientale a 4,5 chilometri da Albona, nato attorno alle miniere di carbone e dove furono mandati a lavorare numerosi minatori sardi delle miniere del Sulcis negli anni ’40. Molti di loro, finita la guerra, furono trucidati nelle foibe. Mauro Pistis ha raccolto documenti e materiale sui sardi infoibati, organizzato incontri e scambi culturali, per scrivere una storia “condivisa” di questa tragedia, ma ancora si attende una sua pubblicazione definitiva che auspichiamo possa presto avere luce.

Lo studio di Silvia Seu

Intanto ogni anno, il 10 febbraio, è occasione per parlare di queste vicende nelle scuole e sulla stampa,  in virtù proprio di quella legge del 20054 che ha istituito “Il Giorno del ricordo”.

 

Un manifesto in occasione di una celebrazione per il Giorno del Ricordo

 

In questo contesto ben si inquadra il lavoro della blogger Silvia Seu che, riprendendo lo spunto e gli elenchi dei miei articoli, ha incrociato altre fonti e lavori più recenti, sfociati nel saggio che pubblica nel suo blog Tre Passi Avanti.

Il saggio (a cui rimandiamo con questo link) si intitola  “Le foibe e i sardi”

A distanza di quasi vent’anni, l’autrice ripropone a puntate in ordine alfabetico, le schede di ciascuna vittima comprese nell’elenco già pubblicato sull’Unione Sarda, aggiungendo qualche particolare e indicazioni sui dubbi riguardanti la corretta grafia dei nominativi e di alcuni anche l’identità. Inoltre inserisce interessanti aggiornamenti riguardo alle vicende personali di finanzieri, militari e altri personaggi ritrovate in altre fonti.

Scrive Silvia Seu: «A oggi, mancano liste e registri che potrebbero fornire un elenco ufficiale delle vittime, mancano dati che potrebbero far chiarezza sui luoghi di prigionia o di sepoltura dei dispersi. Le maggiori ricerche sono state svolte solo a partire dagli anni Novanta e, anche per questo motivo, gli elenchi attuali sono scarni, contraddittori, imprecisi e soprattutto sono caratterizzati da due sinonimi ricorrenti: scomparso o disperso. In questo articolo, e negli altri che seguiranno, si è cercato di riportare alla luce i nomi delle vittime sarde (o di origine sarda) incrociando quanti più dati possibili. Non compaiono, per ovvi motivi, tutti i sardi vittime dell’eccidio, ma soltanto quelli i cui nomi e i cui dati biografici sono risultati dalle ricerche online. Si è partiti da un elenco pubblicato dall’Unione Sarda (aggiornato nel 2003) che si è cercato di integrare con altre liste più o meno recenti. Laddove, nel nome, non siano presenti delle indicazioni specifiche, per le fonti si dovrà fare riferimento alle note presenti a fondo pagina.

Il sito Tre Passi Avanti

Le brevi schede comprendono, di norma, oltre i dati biografici essenziali, quelli sulla residenza e sul mestiere o la professione. Nel caso il lettore sia a conoscenza di ulteriori dettagli, nei commenti alla pagina potrà integrare o chiedere di modificare eventuali inesattezze che, sicuramente, non mancheranno al sito (vai al link),  Tre Passi Avanti.».

Di seguito riportiamo alcuni passaggi del minuzioso lavoro della blogger che riassumono i punti salienti della vicenda e non citati nei post già presenti in questo sito riguardanti l’intero capitolo della foibe.

Le foibe carsiche

Il termine foibe, che in origine indicava le profonde cavità naturali tipiche delle aree carsiche, è oggi diventato il modo per descrivere gli eccidi che vennero commessi dai partigiani jugoslavi e dalle truppe dell’O.Z.N.A. ai danni di militari e civili italiani. L’utilizzo di questo termine non riguarda solo, come comunemente si pensa, le vittime che vennero materialmente gettate nelle foibe, ma include tutti i caduti della repressione, a partire da coloro che morirono nei campi di prigionia jugoslavi, che vennero uccisi tramite fucilazione o gettati in mare.

Questa precisazione è necessaria per capire che il massacro fu ben superiore rispetto al numero dei corpi riesumati dalle cavità naturali. Per comprendere a fondo l’eccidio delle foibe non ci si può limitare ad analizzare l’episodio in sé, bisogna capire come si arrivò a quel clima di esasperazione e di odio che si riversò contro la comunità italiana. L’irredentismo italiano, il nazionalismo sloveno e croato, la Grande guerra, il Fascismo e poi ancora la Seconda guerra mondiale sono le grandi tappe di questa storia.

I sardi scomparsi nelle foibe

Quanti furono i sardi che morirono nell’eccedio delle foibe? Anche in questo caso non vi sono dati certi, solitamente si parla di un numero che oscilla tra le 140 o 150 vittime. Erano in primo luogo militari della Guardia di Finanza, dell’Esercito, della Marina in servizio nella zona. C’erano impiegati, ferrovieri, guardie penitenziarie, insegnanti di origine sarda e non mancarono neanche minatori del Sulcis iglesiente (trasferiti da Carbonia ai pozzi in Istria).

I nove finanzieri di Campo Marzio

Particolarmente interessante è la storia che riguarda i finanzieri della caserma di Campo Marzio. Il 1° maggio 1945, quando Trieste era sotto il controllo del Comitato di Liberazione Nazionale, entrarono in città le truppe di Tito che si sostituirono ai partigiani del CLN nel controllo della città. Nei giorni successivi iniziarono a deportare i finanzieri nei campi di concentramento, prima nella zona di Trieste e poi nei territori della Jugoslavia. Degli 86 (o più probabilmente 107) militari rastrellati a Campo Marzio si seppe solo che furono uccisi i giorni seguenti. I loro corpi, probabilmente, vennero gettati nelle foibe del Carso Triestino; tra loro vi erano 9 sardi.

I finanzieri sardi

Racconta Silvia Seu:

Efisio Corrias

«Sardi furono anche i finanzieri Vincenzo Flore ed Efisio Corrias, appartenenti alla Compagnia di Udine. Il 24 aprile 1945, assieme ad altri 7 colleghi, prestavano servizio di guardia presso un magazzino di viveri e foraggi ubicato in via Buttrio. Un sottufficiale tedesco che lavorava nello stesso magazzino, temendo per la sua vita, decise di collaborare con i partigiani sloveni e li convinse ad assalire il piccolo Distaccamento con la certezza che i finanzieri non si sarebbero opposti.

Fu così che la notte tra il 25 e il 26 aprile, i partigiani si presentarono presso la sede del Distaccamento e i finanzieri, consegnate le armi, seguirono i partigiani titini convinti di prendere parte alla lotta contro l’invasore. Dopo un lungo peregrinare tra le montagne, i finanzieri ormai consci di essere caduti in un’imboscata tesa da antitaliani, vennero divisi in tre gruppi di tre elementi ciascuno e condotti rispettivamente a Brusnapece, Lasiz e Iasbane. In questi luoghi furono fucilati e sotterrati nella notte tra il 26 e il 27 aprile. Il 19 luglio 1945 le salme, già individuate da tempo, vennero esumate: i corpi ritrovati a Lasiz furono identificati in quelli degli appuntati Corrias e Flore. Erano morti assieme.
Alla memoria di ciascuno dei 9 finanzieri è stata concessa, in data 26 settembre 2012, la Medaglia di Bronzo al Merito Civile».

Una strada intitolata a Corrias

La cerimonia di intitolazione

Il 23 aprile 2018 il Comune di Decimomannu ha intitolato una strada all’Appuntato della Guardia di Finanza Efisio Corrias, decorato della medaglia di bronzo al merito civile.

Ecco la motivazione: “Nato a Decimomannu il 23 febbraio 1906, il militare comandava il piccolo Distaccamento della Regia Guardia di Finanza di Buttrio (UD). Dopo l’armistizio del 1943 ha continuato la sua attività di vigilanza presso un magazzino di viveri e foraggi sito in Udine, opponendosi ai tentativi di razzie messi in atto sia dai tedeschi che dagli sloveni. Nella notte tra il 25 ed il 26 aprile 1945, insieme ad altri finanzieri, fu persuaso ad unirsi ad una formazione partigiana “Titina” e con l’inganno venne condotto in zone impervie delle montagne Friulane, dove fu barbaramente ucciso”.

I minatori Piras e Mura

Nella Foiba di Vines, poco dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, furono gettati almeno 72 italiani, tra i quali una ventina di dipendenti della Società Anonima Carbonifera Arsa. Alcuni minatori provenivano da Carbonia; di questi, due i corpi ufficialmente riconosciuti: Emanuele Piras e Pietro Mura.

Il poliziotto Giuseppe Frongia

C’è anche una storia inedita che compare nel saggio della blogger. Quella del poliziotto Giuseppe Frongia:  «È giusto portare alla luce anche un’altra terribile storia che non sembra essere menzionata in nessun articolo di giornale: si tratta della vicenda di Giuseppe Frongia, poliziotto a Fiume, fucilato nel 1945. Da un’attenta analisi dei nominativi trovati in rete, si è potuto rilevare che, nell’autunno del 1943, venne assassinata la moglie Peyrone Erminia assieme ai tre figli della coppia, Arturo di 12 anni, Elisa di 8 e il piccolo Giovan Battista di soli 5 anni. Anche in questo caso le informazioni si limitano a questi dati, così non ci è dato sapere perché e come avvenne questa tragedia che costò la vita a una famiglia intera.

Fonti riportate nel blog:

Il sito Ad Maiora

A completamento di quanto scritto in questo post, è doveroso segnalare il sito  Ad Maiora Media Sardegna (vedi il linkdiretto dal giornalista Fabio Meloni che segue da anni con attenzione gli eventi di cronaca e storia riguardanti la vicenda dei massacri nell’ex Jugoslavia e dei profughi giuliani. 

Il sito è dichiaratamente schierato su posizioni di destra. Proprio sul tema si vedano i numerosi link pubblicati da Meloni in occasione della ricorrenza per  il Giorno del Ricordo.

Chi è Silvia Seu

 Nata nel 1983 a Villaputzu (Cagliari). Blogger dal 2007, sempre attiva con il suo sito sul web. Appassionata di storia, ha studiato “Storia e discipline umanistiche”, presso l’Università di Cagliari. Nel 2007 apre il sito  “Tre Passi Avanti”, quando i blog vivevano il loro momento d’oro e i social network non avevano ancora preso il sopravvento. Attualmente il blog, dedicato principalmente alle vicende storiche che riguardano la Sardegna e i sardi, è sempre attivo con quasi 70 mila registrate dal 2012. 

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