L’Italia chiede scusa ai soldati giustiziati

Grande guerra e riabilitazione

Nel corso della Grande Guerra in Italia furono comminate dai tribunali militari oltre 4 mila condanne a morte, di cui 750 eseguite, alle quali si devono aggiungere almeno altre 300 esecuzioni sommarie (cioè senza processo). In nessun altro Paese occidentale la giustizia militare raggiunse un così alto livello di repressione. In Francia, nonostante la maggior durata del conflitto, furono eseguite 600 condanne capitali, in Gran Bretagna furono giustiziati 346 uomini su 3.080 condannati. Sul fronte nemico in Germania “appena” 46 fucilazioni su 150 sentenze. Il Comando supremo italiano, invece, usò il pugno di ferro, con l’avallo del potere politico visto che né il governo di Salandra, né quello successivo di Orlando e neppure il Parlamento, si preoccuparono di contenere la deriva autoritaria dei generali.

La scorsa legislatura una proposta di legge sottoscritta da numerosi deputati (primo firmatario il sardo Gian Piero Scanu) è stata presentata col fine di <<attivare il procedimento per la riabilitazione dei soldati italiani condannati nel triennio 1915-’18, nonché per restituire l’onore militare e riconoscere la dignità di vittime di guerra a quanti furono passati per le armi senza processo con la brutale pratica della decimazione o per esecuzione immediata e diretta da parte dei superiori>>.

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La proposta (approvata alla Camera nel maggio 2015) si è arenata nel 2016 in Senato dove è stata stravolta a quanto pare per le pressioni provenienti anche dai vertici militari. E non sappiamo quando e come verrà ripresa nella nuova legislatura. Di certo si tratta di un’iniziativa importante dal punto di vista storico e umano che giunge cent’anni dopo i fatti, non a caso nel corso delle celebrazioni del Centenario della Vittoria.

Lo stesso presidente Mattarella aveva sottolineato la necessità di non <<lasciare in ombra alcune pagine tristi e poco conosciute di quegli anni di guerra>> riferendosi in particolare all’esercizio della cosiddetta “giustizia sommaria” da parte dei tribunali. <<Una prassi – ricordava il Capo dello Stato – che includeva la fucilazione immediata, senza processo, e persino il ricorso – sconcertante, ma incoraggiato dal Comando supremo – alle decimazioni: soldati messi a morte, estratti a sorte, tra i reparti accusati di non aver resistito di fronte all’impetuosa avanzata nemica, di non aver eseguito ordini talvolta impossibili, di aver protestato per le difficili condizioni del fronte o per la sospensione delle licenze>>.

Già il 28 settembre 1915, a pochi mesi dall’entrata in guerra, il generale Luigi Cadorna aveva emanato la prima di una serie di circolari in cui incitava gli ufficiali ad operare ogni mezzo per costringere i soldati a battersi. Nell’esercito italiano dominava il <<terrore più terrificante>>, come ebbero a scrivere nella loro relazione i componenti della Commissione Parlamentare d’Inchiesta, istituita nel 1919 su Caporetto.

Così i tribunali militari lavorarono a pieno ritmo. Su 5 milioni e 200 mila mobilitati, ci furono 870 mila denunce, di cui oltre la metà riguardava i renitenti alla chiamata (la maggior parte residenti all’estero). Escludendo questi ultimi, ben 400 mila furono quindi le denunce. Alla data del 2 settembre 1919, quando con un decreto fu concessa l’amnistia ai disertori, erano state pronunciate 210 mila condanne.

Questa dei reati commessi al fronte e della loro repressione è l’altra faccia della realtà del conflitto, fatto di sacrifici e sofferenza, di uomini e giovani costretti a combattere in condizioni estreme, lanciati ad attacchi suicidi contro difese imprendibili, che non si vergognarono di aver paura e che non capivano il senso di una guerra lunga e sanguinosa. Restituire con una legge la dignità e il rispetto della loro memoria è un atto dovuto dallo Stato verso questi soldati e i familiari che ne subirono le conseguenze. È pertanto necessario che la proposta già licenziata dalla Camera venga ripresa dal Senato e che a tal fine vengano superate remore e perplessità che possono derivare da un malinteso senso dell’onore militare. Un secolo dopo non è mai troppo tardi.

Fonti:

Da L’Unione Sarda, 24.05.2018

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