La Supercentrale

Quarta puntata: il carbone
Corriere della Sera - Martedì 11 giugno 1963

 Ed ecco la quarta puntata dell’inchiesta uscita nel Corriere. Qui ripercorriamo i passi più significativi, con i temi evidenziati dai nostri titolini e in corsivo il nostro testo.

Nel volume compare nel paragrafo 5 (da pag.913) col titolo “La Supercentrale”.

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Titolo:

Il carbone è un ammalato grave che può contagiare la Sardegna

Sommario:

La sua qualità è cattiva e il costo di produzione e trasporto molto elevato – L’Ultima terapia escogitata, la Supercentrale elettrica di Porto Vesme, è il campo in cui i partiti politici si stanno dilaniando in un duello all’ultimo sangue

Dopo le campagne tocca all’industrializzazione. Montanelli sosteneva che “il carbone è un ammalato grave che può contagiare la Sardegna”. Nel sommario si legge: “La sua qualità è cattiva e il costo di produzione e di trasporto molto elevato. L’ultima terapia escogitata, la Supercentrale elettrica di Porto Vesme, è il campo in cui i partiti politici si stanno dilaniando in un duello all’ultimo sangue”. 

Il carbone come l’oro

Su questi temi, egli citava Salvatore Cambosu. Ed eccolo infatti l’inviato del Corriere riferirsi all’autore di “Miele amaro”: «La nonna dei minatori sardi, Vincenza Urru, è morta nella convinzione che il carbone del Sulcis fosse oro, che in carbone si tramutava per sortilegio, appena tocco dalla mano avida dell’uomo. Se è vero, bisogna attribuire a nonna Vincenza un certo potere divinatorio perché infatti quel carbone sarebbe stato più prezioso dell’oro solo se lo si fosse lasciato dov’era. […] 

Carbonia, una piaga purulenta 

La città a cui esso ha dato il nome è la più triste e squallida di tutta la Sardegna. La investe e la scuote il forte vento dell’Ovest, che vi si carica di un pulviscolo giallo. Sembra qualcosa di mezzo fra un concentramento di profughi e un albergo mal costruito. Le case sono nere e sordide, con l’intonaco che cade a brandelli sotto gli schiaffi del libeccio. Unica nota umoristica, ma che evoca più il ghigno che il sorriso, l’insegna di un caffè che, da «Caffè dell’Impero», è stata epurata in «Caffè del Pero» per risparmiare la vernice.

Nata da un gesto di volontà pianificatrice, Carbonia denunzia la sua origine arbitraria e astratta. Nulla giustifica la sua esistenza, nel giallo deserto del Sulcis che la circonda, se non il carbone delle sue viscere in cui nonna Vincenza vedeva il castigo di uomini troppo rapaci per meritare altra Befana. Doveva diventare la “capitale morale” dell’isola. Ne è diventata la piaga purulenta.

Ricca di minerali

La Sardegna è la terra italiana più ricca di minerali. Suoi sono tutto il nostro arsenico e antimonio, il novanta per cento del piombo, il settantacinque del rame, il settanta dello zinco, il cinquanta del bario. Tutt’insieme, ciò che si estrae dal sottosuolo del Sulcis oscilla, in valore, fra i diciotto e i venti miliardi all’anno, ma ha toccato anche i trentacinque. Il capoluogo, Iglesias, conta circa duemila operai. […]

Ci sono, è vero, nelle viscere del Sulcis, milioni di tonnellate di carbone. Ma di cattiva qualità e di costosa estrazione.

La crisi del carbone: restano tremila minatori

Secondo me – scrive Montanelli – in tutto il Sulcis c’è odore di morto. Esso viene però soprattutto di qui, da Carbonia. E lasciamo la parola alle cifre Nel ’40, Carbonia fornì un milione e trecentomila tonnellate di carbone; oggi ne produce settecentomila. Nel ’40 erano occupati ventimila minatori; oggi, tremila. Non cerchiamo altri capri espiatori, all’infuori del delirio autarchico che creò questa industria artificiale.

Minatori nei pozzi

Ci sono, è vero, nelle viscere del Sulcis, milioni di tonnellate di carbone. Ma di cattiva qualità e di costosa estrazione. Nella Ruhr un minatore ne estrae in media 575 tonnellate all’anno; qui, 156. 

Ma c’è anche di peggio. Ormai, nel mondo degl’idrocarburi, la concorrenza non è più soltanto fra carbone e carbone, dove già siamo largamente battuti. Ma è anche fra carbone e nafta, che rende di più e costa di meno. Dal ’46 la Carbosarda, che gestiva tutta la produzione del Sulcis, ne ha venduto il carbone a un prezzo ch’è la metà esatta del suo costo. Non c’è da meravigliarsi che abbia accumulato un deficit di parecchie decine di miliardi (non sono riuscito ad appurare quanti) che vengono sottratti alle tasche del contribuente italiano e solo in parte compensati da contributi della Comunità europea del carbone e acciaio che cerca di aiutarci a risolvere questa crisi. Ma come?

Una brutta città costruita sul nulla

Carbonia alle origini

Chiudere tutto significa condannare a morte Carbonia: che è una brutta città, costruita sul nulla, ma dove, dei 47.000 abitanti del ’51, ne sono ancora rimasti 35.000. Il sindaco è un professore di scuola media comunista, Doneddu, e bisogna onestamente riconoscere che, nelle condizioni peggiori, amministra nel modo migliore. Il borgo è povero. Vive di seimila occupati e di cinquemila pensionati.

Eppure possiede l’ospedale e le scuole meglio tenute dell’isola. Dico malvolentieri queste cose, ma debbo dirle, a monito di tante amministrazioni democristiane che, in condizioni molto più vantaggiose, non sanno fare altrettanto (eppoi si arriva ai risultati elettorali che sappiamo). […]

La Supercentrale di Porto Vesme

La Comunità del carbone e dell’acciaio di cui ormai facevamo parte aveva già mandato nel Sulcis una commissione di studio, e ce ne aveva comunicato la diagnosi. Il carbone di Carbonia era un malato senza speranze per via della cattiva qualità e dell’alto costo di estrazione e di trasporto. Ma noi abbiamo continuato a curare quello malato, abbiamo profuso per lui sessanta inutili miliardi, e ci prepariamo a sottoporlo a una nuova terapia, che ce ne costerà molti di più.

Questa terapia si chiama «Supercentrale di Porto Vesme» e rappresenta il campo su cui i partiti politici sardi si stanno dilaniando in una battaglia all’ultimo sangue.

La nazionalizzazione dell’energia 

Nel campo dell’energia elettrica, la Regione ha precorso la Nazione sottraendola alle società private. Fra queste, di gran lunga la più importante era la Società Elettrica Sarda o S.E.S., che apparteneva al gruppo Bastogi. 

La miniera di Serbariu

Ecco come la piaga purulenta di Carbonia rischia d’infettare tutto l’organismo industriale sardo prima ancora che nasca. La Regione sembra decisa a mandare avanti la «Supercentrale». Melis dice che solo creando una potente industria di base come quella elettrica si può richiamarne altre nell’isola e ridare vita al suo carbone. Il discorso non fa una grinza, ma conduce a una sola conclusione: che, per salvare il carbone di Carbonia, bisognerà vendere sotto costo l’energia elettrica di Porto Vesme. E, se ne accolli il peso l’E.N.E.L. o la Regione, il sacrificio sarà sopportato dal contribuente italiano. Curare gl’infermi è una dovere di carità. Ma renderli padri d’infermi ancora più incurabili forse è un eccesso di zelo.

L’opinione che mi sono fatta (e spero di sbagliarmi), è che, com’è avvenuto per l’irrigazione, anche per l’industrializzazione si sia messa troppa carne al fuoco, che rischia di arrivare in tavola a commensale già morto di fame. Anche in Sardegna la classe dirigente mostra tanta intelligenza dei problemi generali quanto negligenza di quelli particolari. Vede la montagna, ma ignora il muretto e v’inciampa. Non pensa che alla palingenesi, e disprezza quelle riforme spicciole e graduali, che sole possono avviare un sano e organico sviluppo. Si preoccupa delle «riforme di struttura» e delle «industrie di base», ma non ha ancora istituito dei semplici caseifici per razionalizzare l’unica sua produzione sicura: quella del latte e dei formaggi.

Spero – ripeto – di sbagliarmi. Ma non ho fiducia nelle industrie che basano i loro preventivi su una vendita della merce sotto costo.

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