Internati in settanta paesi

Il libro di Giorgio Madeddu racconta una storia inedita della Grande Guerra

Di seguito pubblichiamo la sinossi del libro “La Damnatzio ad metalla” (Gaspari editore, Udine, pag. 192, euro 24), introduzione di Stefano Pira, docente di storia contemporanea presso il Dipartimento di studi storici dell’Università di Cagliari.

L’autore Giorgio Madeddu, di Iglesias, fa parte del Comitato sardo per il Centenario della Grande Guerra e dell’Associazione Mineraria Sarda. Il volume nasce da una ricerca per il master di storia ed è il primo lavoro completo sull’argomento degli internati nell’Isola durante il conflitto. Comprende numerosi documenti, schede e immagini. 

Didascalie delle immagini tratte dal volume: 1. Foto cartolina che ritrae il Coro di Pentecoste di soldati austriaci nel 1918; 2. Cartolina inviata dall’Asinara i 27 marzo 1916 con disegno raffigurante le tende dell’accampamento di Timbarinu (Asinara); 3. Unica foto ad oggi nota che ritrae prigionieri austriaci a Iglesias (Collezione privata Giovanni Orrù)

 

 

La Damnatio ad Metalla, storie di prigionieri dell’Impero austro ungarico nella Sardegna della prima guerra mondiale, è il frutto di lunghe ricerche d’archivio e raccolta di documenti e testimonianze storiche.

La Sardegna della Grande Guerra è segnata, come le altre regioni d’Italia,  dalla partenza dei suoi uomini alle fronti di combattimento con il conseguente abbandono delle campagne e delle industrie. L’impiego di donne e fanciulli non riesce a supplire alla carenza di manodopera, la necessità di approvvigionare combustibili fossili e metalli utili allo sforzo bellico, la semina e la raccolta dei cereali,  induce le autorità politiche e militari nazionali a riflettere sul possibile impiego dei prigionieri di guerra austro ungarici nelle diverse attività lavorative a sostegno dell’economia nazionale.

L’impiego dei prigionieri di guerra non è immediato, sono diffuse perplessità e resistenze, anche  i sindacati operai  vedono l’ingresso dei prigionieri nei luoghi di lavoro un possibile elemento di concorrenza al libero mercato della manodopera in grado di determinare decrementi generalizzati  delle retribuzioni.

Il libro, con l’analisi dei diversi atti normativi e regolamentari nei tempi succedutisi, percorre le tappe che hanno consentito, da prima con esitazione e successivamente con largo impiego, la concessione dei prigionieri di guerra austro ungarici per i lavori di miniera, agricoli, di forestazione, di realizzazione di costruzioni civili, per citare i più diffusi.

Le preoccupazioni italiane nel gestire in maniere scrupolosa le tematiche relative ai prigionieri di guerra non furono solo dettate dalla esclusiva possibilità di creare concorrenza con i lavoratori, preoccupazione superata peraltro dalle retribuzioni ai prigionieri in linea con quelle di mercato, ma anche, è forse in misura maggiore, dalla prospettiva di sedere al tavolo dei vincitori con le carte in regola, avendo adempiuto pedissequamente alle disposizione della Convenzione dell’Aja del 1907 nella parte relativa al trattamento dei prigionieri di guerra.

La Sardegna è una delle prime realtà ad essere interessate dalla realizzazioni di campi di prigionia, già nell’agosto del 1915 un migliaio di prigionieri giungono sull’Asinara, seguiti, nel dicembre successivo, dall’episodio più noto, discusso e criticato, del trasferimento sull’isolotto dei prigionieri austro ungarici provenienti da Valona. Uomini fatti prigionieri dalla truppe serbe e costretti con esse alla ritirata lungo il calvario dei Balcani, marcia descritta dalla storiografia come “la marcia delle morte”. Dei circa settantamila prigionieri partiti da Nich, arrivarono e furono imbarcati da Valona per l’Asinara circa ventiquattromila uomini, denutriti, debilitati nel fisico e nello spirito e affetti dal colera. Sull’Asinara, nonostante gli sforzi dei medici italiani e austro ungarici morirono oltre settemila uomini.

L’episodio del trasferimento dei prigionieri di guerra austro ungarici da Valona all’Asinara, ha, per tutto il novecento, identificato e caratterizzato  la vicenda dei prigionieri di guerra in Sardegna.

Il libro mostra con dovizia di particolari e compendio di immagini d’epoca, quanto la vicenda dei prigionieri di guerra vada ben oltre l’Asinara andando a riguardare l’intera Regione, dove, allo stato attuale delle ricerche, risultano coinvolti oltre settanta Comuni tra luoghi di lavoro e morte dei prigionieri di guerra.

La ricerca mette in luce un avvenimento della storia contemporanea della Sardegna non ancora indagato dalla storiografia del secolo breve.

Dalle miniere di carbone e metalli del Sulcis Iglesiente, a quelle del Guspinese – Arburese, passando per il Sarrabus e Seui per giungere a Padria e all’Argentiera, senza tralasciare le miniere minori, il libro descrive l’arrivo dei prigionieri e il loro impiego nei lavori estrattivi sino alla loro partenza, avvenuta, in alcuni casi nel secondo semestre del 1919.

Alle attività minerarie furono collegati gli imponenti lavori per la costruzione della diga sul fiume Tirso,  i paesi di Ghilarza e Ula Tirso ospitarono i relativi Distaccamenti di prigionieri e in questi paesi numerosi prigionieri morirono, in particolar modo, colpiti dalla terribile influenza spagnola durante l’inverno 1918/19.

Oltre il contesto minerario, indagato con accuratezza e rigore scientifico, lo studio avvia il censimento, paese per paese, delle diverse attività lavorative dove furono impiegati i prigionieri di guerra austro ungarici e dei relativi luoghi di morte e sepoltura, proponendo al lettore uno spaccato della vita economica e sociale della Sardegna durante il periodo bellico e avviando una riflessione sulla esigenza di ricordare, anche con attività concrete di memoria, questi soldati, che, loro malgrado, si trovarono a patire, da prima le sofferenze della trincea, e poi quelle della prigionia, trovando in tantissimi casi la morte lontani migliaia di chilometri dalla loro famiglie.

Questi morti, scomparsi sia dalla storia della Sardegna  che dai nostri cimiteri, senza che un sepolcro ne abbia preservato simbolicamente la memoria, meritano, trascorsi ormai cento anni da quei tragici eventi, un ricordo sulla pietra, monito di tempi tremendi e ponte tra la Sardegna e i Paesi natii di questi uomini.

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