Il garibaldino Sisinnio Mocci

Una vita avventurosa di viaggi e battaglie per i suoi ideali di comunista

di Martino Contu


  Villacidro (Cagliari), 31 dicembre 1903. Fabbro, aggiustatore meccanico. Tenente inquadrato nel II Battaglione della XII Brigata Internazionale “Garibaldi” in Spagna. Rivoluzionario comunista.  

Proveniente da una famiglia di braccianti agricoli, risiedette a Villacidro sino al 1922; poi a Roma (1922-1925); Albona, in Istria (Croazia, 1925-1927); Argentina (1927-1930); Harnes, dipartimento di Calè e Saint-Denis (Francia, 1930-1932); Mosca (Russia, 1932-1937); Spagna (1937-1939); Vernet (Francia, 1939-1941); Ventotene (1942-1943).

Sisinnio Mocci nel 1922, all’età di 18 anni, si trasferì a Roma in cerca di lavoro. È probabile che negli anni della sua permanenza nella capitale abbia avuto un contatto diretto o indiretto con le idee e gli uomini del Partito Comunista d’Italia (PCd’I) o che abbia semplicemente cominciato a nutrire qualche simpatia nei confronti del nuovo movimento politico che a Roma come in altre città d’Italia cercava di organizzarsi tra mille difficoltà sotto l’incalzare del fascismo.

Nel 1925 traslocò ad Albona, un centro minerario sulla costa dell’Istria, ricco di giacimenti di carbone e bauxite, per lavorare come aggiustatore meccanico. Nel 1927, con regolare passaporto, emigrò in Argentina dove rimase tre anni. Nel 1930 lo troviamo in Francia. Si trasferì prima ad Harnes, nel dipartimento di Calè, ospite della famiglia di un suo cugino, e poi a Saint-Denis. Per motivi di salute si recò anche nella vicina Germania, ma subito dopo rientrò in Francia. Nell’aprile del 1931 fu, per la prima volta, allontanato d’autorità da quest’ultimo paese e inserito negli elenchi dei “connazionali recentemente espulsi dalla Francia e dal Belgio per la loro attività comunista e anarchica”.

L’arresto in Francia, poi a Mosca e in Spagna

Il 10 ottobre dello stesso anno venne arrestato sulla pubblica via ad Aubervilliers, un sobborgo nord-orientale di Parigi, nel dipartimento Senna Saint-Denis, mentre vendeva i giornali la “Vie Proletarienne” e “Battaglie Sindacali”. Verso la metà del 1932 si spostò a Mosca dove rimase cinque anni, fino al 1937. Il 31 dicembre di quello stesso anno, dopo un soggiorno di due mesi in Francia, si recò in Spagna a combattere, inquadrato nel 2° Battaglione della XII Brigata Internazionale Garibaldi col grado di sergente. Nell’aprile del 1938 fu ferito durante la campagna sull’Ebro e a settembre venne promosso tenente per meriti di guerra. Nel gennaio del 1939 lo ritroviamo nuovamente impegnato in operazioni militari tant’è che combattè fino al 7 febbraio 1939. Per tale attività il 16 giugno del 1939 venne iscritto nella Rubrica di Frontiera con provvedimento di arresto per aver svolto attività comunista all’estero e per aver combattuto in Spagna come ufficiale miliziano nella Brigata Garibaldi. All’atto della smobilitazione si unì ai soldati e ai miliziani delle Brigate che si diressero verso la frontiera francese. Venne internato nel campo di concentramento di Vernet. Il 14 novembre 1941, con la complicità del governo di Vichy, fu accompagnato a Mentone sulla frontiera italo-francese e lì arrestato dalla polizia fascista. Il 14 dicembre fu trasferito nelle carceri di Buon Cammino a Cagliari.

Al confino di Ventotene

Venne processato senza che fossero avvisati i suoi familiari e senza aver avuto il permesso di poterli riabbracciare. Il 16 febbraio del 1942 fu assegnato al confino di Ventotene per la durata di cinque anni. Dal confino inviava all’anziana madre, rimasta vedova, e alla sorella Giovanna dei modellini di aerei. Questi venivano venduti e il ricavato utilizzato dalla madre per sfamare la famiglia. Liberato nell’agosto del 1943 a seguito della caduta di Mussolini, il 13 si recò a Roma. Riallacciò i contatti con i suoi compagni ed entrò nelle file della Resistenza romana: comandò una delle bande partigiane che operavano nel territorio laziale.

L’amicizia con Luchino Visconti

Trovò accoglienza, come finto maggiordomo, nella villa sita in via Salaria del regista Luchino Visconti, anche lui impegnato nella lotta clandestina. (Mocci – scrive Uberta Visconti, sorella del regista del neorealismo, – «l’ho incontrato due o tre volte. […]. Me lo ricordo come una persona estremamente seria, accigliata, essenziale, completamente dedita alla Resistenza, e si capiva come questa causa occupasse ogni suo pensiero in ogni momento della sua giornata. Dopo il 25 luglio, mio fratello Luchino ed altri si erano adoperati con successo presso il Re per farlo rientrare dal confino e lo aveva ospitato a casa sua, al 366 di via Salaria. […]. Il Mocci diventò uno dei “capi”, se così li possiamo definire, per il quartiere Salario»). Scoperto, il 28 febbraio del 1944, Mocci venne catturato e condotto nella pensione Jaccarino, una delle sedi dei torturatori della banda fascista del tenente Pietro Koch. Sottoposto a snervanti interrogatori e a inumane sevizie non parlò. Non rivelò i nomi dei suoi compagni. «Uscì dalla pensione, per essere consegnato alle SS di via Tasso, col vestito completamente imbrattato di sangue, il viso irriconoscibile, il naso ridotto ad un grumo violaceo, le labbra gonfie e gocciolanti. Barcollando, con le costole spezzate, si teneva a un fianco, emettendo uno straziante mugolio ad ogni movimento. Mocci venne infine scaraventato giù dalle scale, piombò a terra e non si mosse. Un giovanotto in divisa lo colpì ancora con un calcio violentissimo, prima che lo sollevassero per l’ultima via Crucis».

FONTE:

MARTINO CONTU, Sisinnio Mocci, Un villacidrese martire delle Fosse Ardeatine, ANPPIA, Cagliari (1996).

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