Foibe e profughi giuliani, i numeri della tragedia

L'analisi dello storico Gianni Oliva
L'Unione Sarda - 10.02.2016

I numeri incerti di una grande tragedia

di Carlo Figari

Tra otto e diecimila vittime delle foibe: uomini, donne e bambini gettati vivi nelle cavità carsiche dell’Istria in quaranta giorni tra il 30 aprile e il 12 giugno 1945, a guerra praticamente finita. Trecentocinquantamila profughi fuggiti in Italia a iniziare dal 10 febbraio 1947, giorno della firma del Trattato di Parigi con cui gli alleati vincitori stabilirono i confini tra Italia, Croazia e Slovenia. Partivano tutti. Prima da Zara, poi da Pola, dall’intera Istria, dalla Dalmazia e dalla Venezia Giulia per paura di restare intrappolati nella nuova Jugoslavia comunista di Tito. Un esodo gigantesco. In massa o a piccoli gruppi, intere famiglie o singoli individui che si lasciavano alle spalle per sempre le loro case, le proprietà e le tombe dei familiari nei cimiteri. Esuli e non emigrati, sapendo di partire per non tornare più, con un senso lacerante di abbondare con i propri beni e affetti anche la cultura delle loro radici. Così, chiuse le case, i negozi, le osterie, con poche valigie e pochi soldi, arrivarono in un’Italia uscita dalla guerra a pezzi, impoverita, incapace di accogliere quella marea di profughi disperati che andarono disseminati in 107 campi di raccolta. Tra questi anche il paese fantasma di Fertilia, ancora in costruzione dagli anni trenta.

Ex caserme, scuole, colonie balneari, per lunghi sette anni ospitarono questi 350 mila profughi  costretti a vivere in un degrado incivile, emarginati e lasciati in miseria  da una patria che proprio non voleva sapere di questi sfortunati connazionali. E le vittime delle foibe? Silenzio assoluto, finiti nel dimenticatoio generale per <<ragioni di stato>>.

La legge del 2004

Ed è per questo che dal 2004, con la legge 94, il Parlamento ha istituito <il Giorno del ricordo> che si celebra ogni anno il 10 febbraio (ricorrenza del Trattato di Parigi). Occasione per rievocare in tutta Italia l’immane esodo dei giuliani e la tragedia delle foibe. Anche in Sardegna, soprattutto nelle scuole. Ieri a Cagliari duplice incontro nell’istituto Eleonora d’Arborea e poi nella caserma della Legione dei Carabinieri, quest’ultimo organizzato dal Comando Militare dell’Esercito. Al centro dei numerosi interventi, tra cui la toccante testimonianza del profugo di Pola Giuliano Lodes giunto a Cagliari (dove vive tuttora) appena bambino con la famiglia, la profonda analisi di Gianni Oliva. Torinese, autore di una trentina di libri, docente ed ex assessore alla cultura della Regione Piemonte, è uno dei più autorevoli storici della nuova generazione che si è lasciata alle spalle i tabù legati alla Resistenza e al recente passato. Tra i suoi filoni di ricerca negli archivi italiani e stranieri emerge proprio lo studio della tragedia degli italiani dell’ex Jugoslavia, a cui ha dedicato un importante saggio (“Foibe”, Mondadori, 2002).  Per Oliva  c’è una sola risposta a tutto questo: <Diecimila infoibati e 350 mila profughi solo perché erano italiani>.

Dal film “Rosso Istria” che narra la tragedia di Norma Cossetto

Gianni Oliva: i giovani devono sapere

<Purtroppo – dice  – la storia non si studia abbastanza nelle scuole, nei manuali di questa tragedia si parla poco, qualche riga, o addirittura per niente. È essenziale sapere cosa è accaduto, ma soprattutto conoscere i meccanismi messi in atto perché accadessero. Il male non veniva commesso solo dai cattivi, ma tutti in qualche modo erano consapevoli e responsabili, bastava che ti facessero capire che il male che stavi commettendo fosse il bene. Dopo la guerra le colpe furono attribuite a Mussolini e al fascismo, così tutti poterono tornare ai loro posti e ricominciare. Di certo pagarono con l’esilio quei 350 mila profughi, accusati di essere fascisti e fuggiti per il terrore di restare in un paese comunista. Fu un esodo volontario, non ci fu alcun ordine di Tito per cacciarli. E questa scelta fa capire quale fosse il loro stato d’animo>.

<La verità che abbiamo voluto nascondere per oltre mezzo secolo – sottolinea Gianni Oliva –  è che l’Italia uscì sconfitta dalla guerra.  Siamo un paese che non ha mai voluto fare i conti con il passato, non ha mai chiesto scusa ed è sempre ripartito come se nulla fosse. Ma la storia ci insegna che chi vince la guerra conquista i territori. Appunto come è accaduto con l’Istria e la Venezia Giulia>.

I motivi del silenzio

Per Oliva quattro sono i motivi storici che spiegano i silenzi delle foibe e dell’esodo. <Il primo è la ragione politica che ha portato al silenzio internazionale. Nel 1948 Tito rompe con Stalin e diventa il miglior interlocutore per gli americani e gli occidentali. Così da quel momento nessuno osa più parlare di argomenti che potessero mettere in imbarazzo o contrariare il leader jugoslavo>.

A ruota ne consegue il silenzio del Pci governato da Togliatti che non aveva alcun interesse a parlare dei crimini commessi dai partigiani titini e pure dagli stessi comunisti italiani delle brigata Garibaldi, come l’eccidio di Porzus dove venne ucciso anche il fratello di Pierpaolo Pasolini. Terzo punto – dice Oliva – bisognava tacere sulle complicità degli stessi italiani che collaborarono con i partigiani titini venuti dalla Bosnia e da paesi lontani per compiere le retate. Loro facevano sparire la gente nelle foibe, torturavano e uccidevano, ma c’era pure chi indicava le vittime da catturare. Infine ultimo punto, ma sicuramente il più grave, il silenzio di Stato: <A scuola non ci hanno mai insegnato che l’Italia ha perso la guerra a fianco dei tedeschi e tutte le ambiguità della nuova alleanza dopo l’8 settembre. Abbiamo perso ma ci siamo sempre raccontati di averla vinta, mentre i libri tacevano e i programmi scolastici sorvolavano sui fatti dal 1945 in poi>.

 

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