L’oro della Sardegna è l’uomo

Sesta puntata: Missione senza missionari
Corriere della Sera - Sabato 15 giugno 1963

Qui ripercorriamo i passi più significativi dell’articolo uscito sul Corriere sabato 15 giugno 1963, con i temi evidenziati dai nostri titolini e in corsivo il nostro testo.

Nel volume appare nel paragrafo 6  col titolo  “Missione senza missionari” (pag. 919). In allegato pubblichiamo il testo per esclusivo uso consultivo e accademico.

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Titolo:

L’oro della Sardegna è l’uomo

Sommario:

Purtroppo tutti i piani per il suo sviluppo si preoccupano unicamente delle “cose” – Perché quelli che emigrano ritornano difficilmente – La vita delle donne fuori dall’uscio di casa è un salto molto difficile – I problemi dell’informazione – Unaregione che ha bisogno di pionierismo

 

Spopolamento ed emigrazione

Uno studioso sassarese di recente scomparso, il dottor Alivia, sosteneva che tutti i guai della Sardegna, perfino la malaria, erano dovuti allo spopolamento. È fatale, egli scriveva, che il posto abbandonato dall’uomo sia occupato dalle zanzare; e che là dove si consuma poco ci sia anche poco stimolo alla produzione. Il rigoglìo delle iniziative è inversamente proporzionale alla disponibilità di spazio.

La tesi mi sembra più suggestiva che persuasiva. Conosco paesi spopolati e floridi come il Canada, e ne conosco altri gremiti e miserabili come la Cina e l’India. Tuttavia è vero che in Sardegna il fenomeno rischia di diventare patologico e impone qualche misura profilattica.

Soluzione? L’industrializzazione alternativa ai campi

I dirigenti con cui ho parlato si prospettano il problema in questi termini. La gente se ne va, dicono, perché ancora non c’è una industrializzazione che offra alternative a un’agricoltura povera e disagiata. Il giorno in cui i sardi potranno fare vita di fabbrica e di città nella loro stessa isola, smetteranno di emigrare, e coloro che lo hanno fatto vi torneranno.

La risorsa delle donne

Donne sarde in costume

Inoltre, aggiungono, noi abbiamo sempre una intatta riserva da sfruttare: le donne. Fin qui, non hanno mai lavorato fuori di casa. Ora cominciano a farlo. Quest’ottimismo mi persuade solo a mezzo. È vero che i sardi sono i più restìi all’emigrazione e i più difficili ad acclimatarsi in continente.

Ma di solito o tornano subito, o non tornano più. Dei cinquantamila che se ne sono andati in questi ultimi tre anni, solo una metà forse è ancora recuperabile. Cioè lo sarebbe, se vi fosse la possibilità d’impiegarla subito. Ma l’industrializzazione è un processo a lunga scadenza. Solo i pianificatori s’illudono di poterne accelerare i tempi. . E frattanto l’emigrato ha tutto l’agio di sbarazzarsi della nostalgia. […]

 

I sardi non fanno mafia, restano appartati

Ad Alghero ne ho trovato uno in vacanza dall’ Olanda. Gli ho chiesto: «Tornerebbe, se le offrissero un posto con lo stesso salario?». Mi ha risposto scuotendo la testa: «Ma qui non c’è soddisfazione a spenderlo». La risposta è illuminante. La Sardegna potrà offrire al sardo, a scadenza abbastanza breve, la soddisfazione di guadagnare. Ma quella di spendere è più lontana: presuppone tutto uno sviluppo urbano ancora di là da venire. Eppoi c’è anche un fattore psicologico che aiuta il sardo emigrato a integrarsi e a vincere la propria agorafobia: ed è che non cova diffidenze e ostilità verso gli ambienti in cui si accasa per il semplice motivo che non ve ne   suscita. Dovunque vadano, i sardi non fanno mafia, non contribuiscono alla cronaca nera, non cercano di sconvolgere l’ordine costituito dalla società che li circonda. Al massimo, ne restano per un po’ di tempo appartati: ma per lo sgomento, non per ostilità. Questo atteggiamento viene ricambiato e facilita l’acclimatazione.

Per le donne ci vorrà tempo

Quanto alle donne, è vero che rappresentano una riserva perché solo ora cominciano ad avere una vita extradomestica. Ma ho visto coi miei occhi che cosa succede. Il salto difficile da compiere, per una ragazza, è quello di uscir di casa. Ma, una volta compiutolo, è raro che resti fuori dell’uscio, perché ancora oggi questo passo la squalifica. Di solito, con la casa, abbandona anche il paese e l’isola in cerca di un ambiente in cui il diritto a una vita indipendente è riconosciuto anche alle donne. E ci vorrà tempo prima che le cose cambino, perché il costume ha una evoluzione. Più lenta dell’economia.

 

Sala dei Matrimoni nel Municipio di Cagliari: dipinto di Filippo Figari

Il Progetto Sardegna: fallimento di una iniziativa

Nel ’56 ci fu chi si propose di cominciare appunto di qui, dall’elemento umano il riscatto dell’isola. L’Organizzazione europea per la collaborazione economica, o O.E.C.E., stanziò per un triennio duecento milioni all’anno per un’opera di assistenza tecnica che si chiamò «Progetto Sardegna». Alcuni esperti di «aree depresse» mobilitarono un gruppo di giovani sardi e con essi studiarono a lungo i mezzi per interessare la popolazione ai nuovi sistemi di produzione e diffonderne la conoscenza. Ho parlato con uno di loro che desidera conservare l’anonimo.

L’informatore mi dice che, in capo a tre anni, lui e i suoi colleghi giunsero a questa conclusione: che, puntando sugli uomini più che sui mezzi e dando ad ogni comune sardo di che pagare un piccolo gruppo di tecnici animati da zelo e entusiasmo, in poco tempo la Sardegna avrebbe triplicato il suo reddito. Ma la Regione ha mostrato poco interesse per questo esperimento e non lo ha secondato.

Istruzione e scuole: dati sconfortanti

Il discorso ci conduce al problema dell’istruzione. Esso offre dei dati insieme confortanti e sconfortanti. Nel ’51, su cento ragazzi sardi, erano ventidue quelli che non andavano a scuola; ora si sono ridotti a dieci. Il successo è notevole, ma avrebbe potuto essere definitivo se ci si fosse impegnati un po’ di più. Tranne che nell’ambiente dei pastori, il ragazzo sardo ci va volentieri a scuola e volentieri il padre ce lo manda. Ma le condizioni sono dure. Nella media nazionale, lo Stato spende per ogni scolaro quindicimila lire al mese. 

In Sardegna, tremila. Si economizza sulla refezione, sulla matita, sul quaderno, sulla disponibilità di insegnanti e soprattutto sulla edilizia scolastica. Se tutti i ragazzi sardi assolvessero l’obbligo della frequenza, sarebbero costretti a accatastarsi in cento per ogni aula. Il povero provveditore agli studi di Sassari ha dovuto inventare i «paidobus» per raggiungere gli scolari e accasarli.

Sete d’istruzione 

Un fenomeno incoraggiante è invece l’impulso verso gli studi superiori. Nell’ultimo decennio le iscrizioni alle elementari sono aumentate del sette per cento; ma quelle alla media inferiore del centotrenta, e quelle all’avviamento professionale del centosessanta. Ciò dimostra quale sete d’istruzione abbiano i sardi e quale delitto si commetta a non soddisfarla. Le scuole sono poche e mal servite, specie quelle di avviamento che sarebbero le più necessarie.  Tipica la risposta di un dirigente di Cagliari, cui ne ho chiesto il motivo: «Preparando tecnici e maestranze qualificate – mi ha detto – prima che ci siano industrie per poterle assorbire, si collabora all’esodo, invece di arginarlo». C’è del vero, purtroppo. Ma pensate a cosa siamo, in questa età del progresso: a cercar di combattere il malanno dell’emigrazione col malanno – ancor più grave – dell’ignoranza.

E ciò che li spinge alla fuga non è soltanto una carestia di «posti» nel senso materiale della parola, ma piuttosto un senso profondo e disperato d’inutilità e di frustrazione.

Due università con tendenze umanistiche

Sala del Rettorato, Università di Cagliari

Questo fa sì che la tendenza sia ancora anacronisticamente orientata verso gli studi umanistici. La scuola media, che ne schiude la porta, ha circa il doppio d’iscritti di quella tecnica e professionale. La tentazione della laurea, specie in materie giuridiche e letterarie, resta grande. In Sardegna ci sono due sedi universitarie: Cagliari e Sassari.

La prima ha le facoltà d’ingegneria, lettere, economia e magistero; la seconda, agraria e veterinaria. Ambedue però hanno giurisprudenza, oltre a scienze, farmacia e medicina. Quella di veterinaria a Sassari è un’eccellente facoltà. Ma nel ’58 non aveva in tutto che 29 iscritti, di cui uno solo al primo corso. Praticamente, funzionava solo a beneficio di venti studenti greci.

Il fattore umano, la laurea passaporto per emigrare 

L’Ateneo di Sassari

Le deficienze sono chiare, e vengono fondamentalmente da una mancanza d’impegno in quello che i sociologi chiamano, col loro brutto vocabolario, «il fattore umano». La Regione in questo campo ha fatto poco. È vero che il compito dell’istruzione spetta allo Stato. Ma, volendo, ci sono infiniti modi d’intervenirci. Ci sarebbe soprattutto la possibilità di una mobilitazione della gioventù intellettuale, che non chiederebbe di meglio che un compito da svolgere. I contatti che ho avuto con gli studenti mi hanno dischiuso un panorama spirituale sconsolante.

Tutti coloro con cui ho parlato mi hanno ripetuto la stessa cosa: anelano alla laurea come a un passaporto per il continente. E ciò che li spinge alla fuga non è soltanto una carestia di «posti» nel senso materiale della parola, ma piuttosto un senso profondo e disperato d’inutilità e di frustrazione.

Poche prospettive, resta la politica come mezzo per emergere

Uno dei traguardi che la Regione si prefiggeva era appunto d’impedire questo fenomeno creando delle prospettive ai giovani. Ma non si è curata di fornir loro altro mezzo che la politica, dove non tutti sono disposti e hanno la possibilità di imbrancarsi. Praticamente in Sardegna non c’è altra occasione di emergere che attraverso gli oligopoli dei partiti che ne hanno confiscato a proprio profitto tutte le strade e che garantiscono più protezioni e complicità che selezione e ricambi.

Ora, se c’è una regione in Italia che ha bisogno di pionierismo, che addirittura lo evoca perfino nei suoi scenari da western, è proprio la Sardegna.

Terra di missione e per missionari

Quest’isola è «terra di missione» per eccellenza. E, frugandone gli angoli più riposti, di missionari se ne trova: negli umili panni, per esempio, dei medici condotti e dei maestri elementari. Non mi sento di denunziare lo scarso livello professionale di alcuni di loro. Purtroppo, è una realtà. […]

Ne conosco a dozzine, di sardi, che sono finiti alcolizzati senza amare l’alcool e senza prendere piacere alle sbornie. È semplicemente incredibile quali e quanti tesori d’ingegno, in quest’isola, siano andati sprecati così. Ora i giovani cercano scampo nella fuga. Nella fuga da una terra in cui invece c’è tutto da fare e in cui essi potrebbero fare tutto, se fossero sostenuti, accompagnati, aiutati, valorizzati. Ma non possono farlo isolatamente, ciascuno per conto proprio. Soccomberebbero. Ogni anno escono dalle università sarde circa tremilacinquecento laureati. Che la Regione non sia riuscita a creare un punto d’incontro tra loro, un coagulante di energie, e che si limiti a scremarne soltanto dei galoppini elettorali, è la più imperdonabile delle sue carenze.

L’unica che tentò fu l’ O.E.C.E. con quel «Progetto Sardegna» che i dirigenti di Cagliari commisero il grave errore di sottovalutare e di non secondare.  […]

Ma senza l’entusiasmo e la speranza (che non trovano posto tra le «voci» di nessun «piano») non si concluderà mai nulla, nemmeno in Sardegna.

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