In Libano con i caschi blu

Delicata missione per la Brigata Sassari
Beirut alla vigilia delle elezioni

I militari italiani sono di casa in Libano dove in questi giorni si sta posizionando un nuovo contingente inviato dalle Nazioni Unite per mantenere la pace in un’area a grande rischio nello scenario mediterraneo. Mentre il mondo continua a lottare contro la pandemia, non si fermano i conflitti che divampano ovunque. Tragicamente aperti in Libia, Siria o Iraq, a bassa intensità in altre regioni “calde”, oppure latenti come in Libano. Il bel “paese dei cedri”, una volta considerato la Svizzera del Medio Oriente per finanzieri d’assalto e un sistema bancario impenetrabile al fisco internazionale, oggi è sull’orlo della bancarotta. Ridotto in miseria con il 45 per cento della popolazione sotto la soglia della povertà, la moneta senza valore al cambio ufficiale, privo di industrie e di qualsiasi attività manifatturiera, il turismo azzerato, è una polveriera con la miccia accesa.

Considerando la sua posizione strategica crocevia dei conflitti in atto lungo l’asse Libia-Siria, dove si incontrano e soprattutto scontrano gli interessi dei “players globali”, non può essere abbandonato a se stesso con la prospettiva di ritrovarsi a gestire un’altra guerra dalle conseguenze incalcolabili per nuovi flussi di migranti verso l’Europa. Le grandi potenze quali Usa, Cina, Russia, Iran e la Turchia di Erdogan, sono schierate per delineare i futuri assetti di questa fondamentale parte del pianeta che si affaccia sull’Europa. E dunque anche l’Ue nel suo organismo diviso e litigioso su tutto, si trova ad affrontare il problema dell’impegno militare attraverso le missioni dell’Onu, della Nato e della stessa Unione.

Il gen. Di Stasio

Per questo l’Italia è schierata in Libano, con un robusto contingente di 450 sardi della Brigata Sassari, di nuovo all’estero dopo l’Iraq e l’Afghanistan. I sassarini rappresentano quasi metà dell’intero corpo italiano di mille uomini che fanno parte della Forza multinazionale di interposizione delle Nazioni Unite (Unifil). Si tratta del proseguimento della missione denominata “Leonte” nel Libano meridionale, in una zona pericolosa per il conflitto siriano e le costanti tensioni con Israele. 

Il comando della missione è affidato proprio alla “Sassari”, col generale Andrea Di Stasio che per sei mesi guiderà 3.800 caschi blu di 16 nazionalità. La “Sassari” è la seconda volta (dopo il mandato del 2016) che torna in Libano dove ha maturato un’approfondita conoscenza della cultura e delle tradizioni locali. Lì i nostri soldati sono apprezzati e benvoluti. Del resto in Libano si svolse la prima missione italiana all’estero dalla Seconda guerra mondiale, ricordate? Nel 1982 un contingente garantì la sicurezza dei palestinesi in fuga da Israele, interponendosi lungo la “linea verde” tra le forze israeliane e dell’Olp di Arafat. Ma appena lasciata Beirut si scatenò l’inferno con l’attentato al presidente maronita appena eletto Bashir Gemayel e la ritorsione con i massacri nei campi profughi di Sabra e Chatila. Così gli italiani furono richiamati e tornarono al comando del mitico generale Franco Angioni. In due anni fu ucciso un solo soldato italiano (Filippo Montesi) e 73 feriti, mentre gli americani persero 300 uomini. Quella storia è raccontata nel celebre romanzo “Insciallah” di Oriana Fallaci.

Oggi i “dimonios”, appena sbarcati in Libano, sono chiamati a svolgere un ruolo più o meno simile. Lo scopo è assistere la popolazione civile e sostenere le forze armate libanesi nelle operazioni di sicurezza e stabilizzazione dell’area per prevenire un ritorno delle ostilità e creare le condizioni per una pace duratura. Una sorta di “mission impossible” perché la situazione è esplosiva in un paese in default, diviso in fazioni religiose e politiche, pronte a combattersi ad ogni pretesto.    

«Il Libano sta morendo sotto i nostri occhi, ma non possiamo farci niente», scrive il giornalista libanese Anthony Samrani su “Internazionale”. La popolazione si impoverisce, le scuole sono a rischio, gli ospedale fatiscenti, le imprese chiudono, i giovani – quelli che possono – se ne vanno. Quando tutto crolla, si cercano i colpevoli, tutti contro tutti. Nessuno – sottolinea Samrani – ha un modello di governo e una politica economica in grado di far rinascere il Libano: l’obiettivo sembra quello di preservare la pace sociale perché è l’unico che oggi possa garantire la sopravvivenza. In questo scenario si ritroveranno i nostri soldati, non sarà una missione di routine. E per salvare il Libano ci vorrà ben altro.

 

Fonti:

L’Unione Sarda, 11.07.2020

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